lunedì 30 giugno 2008

Ssssssht. Adesso silenzio.

Prima correvo e nella testa passavano i pensieri di sempre. Quei pensieri che sono tutto e sono niente, perchè sono paure che si affacciano e poi scappano via; perchè sono raggi di felicità allo stato puro, che mi scaldano più della canicola di questi giorni afosi per poi correre via anche loro, lasciandomi sudata ed infreddolita. Prima correvo e nelle cuffie passavano le solite canzoni di sempre. Quelle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, perchè alcune mi riportano ad un preciso momento, bello o brutto che sia, illudendomi che tornare indietro nel tempo sia possibile; perchè quando certe note, quelle note, si rincorrono nel modo che ormai conosco bene, che è parte di me perchè ritma il mio fiato mentre corro e spinge il mio respiro quando è stanco, mi sembra quasi che il mondo intero se ne stia in silenzio a guardarmi passare. Prima correvo e, tutta presa da quei pensieri che sono tutto e niente e da quelle canzoni che non mi stanco mai di ascoltare, a fianco a me sono passate due persone: una più anziana e una più giovane. Due uomini. Due uomini che, ipotizzo io, erano padre e figlio. Il genitore in bici e il figlio dietro. Ma, mi spiego meglio, non nel seggiolino o che so io. Se ne stava dietro in una specie di carrellino, trainato dalla bici. E' stato un attimo, ma mi è bastato per scorgere le spalle esili esili di questo ragazzo, per notare che guardava di lato, per capire che non era un ragazzo come tutti gli altri. Il suo sguardo - non l'ho visto, ma sono quasi sicura fosse così - era fisso, intento su qualcosa, che forse era niente o, forse, lo sa soltanto lui. E io non so cosa mi sia preso, ma sono diventata tutta un brivido e ho sentito gli occhi riempirmisi di lacrime. Era da circa 75 minuti che correvo ininterrottamente, avevo un ritmo buono, tranquillo quanto bastava per non inciampare nella mia stessa lingua. Ma in quel preciso momento ho dovuto rallentare, prendere fiato, deglutire con più forza per mandare giù il magone. Attimo di pura dolcezza. Un padre che porta in giro suo figlio diverso da tutti gli altri, che forse non puo' muoversi, non puo' camminare, non puo' pedalare, non puo' ragionare con il ritmo frenetico con cui oggi tutti ragioniamo - se di ragionare si tratta. Un padre che, con 35 o forse più gradi all'ombra, pedalava sotto il sole e regalava un po' di brezza al suo ragazzo. Io adoro la vita, quando mi offre queste immagini. Perchè lo fa quando meno me l'aspetto, quando, tutta presa e assorta nel NIENTE, mi sbatte in faccia TUTTO. E allo stesso tempo odio la vita, la mia vita, perchè spesso mi porta ad essere egoista ed immatura, superficiale e meschina. La odio perchè dovrei prendere un diario e scrivere a caratteri cubitali di quel padre e di quel figlio, ricordarmene sempre e non soltanto quando m'imbatto in qualche cosa che mi trascina giù dalla mia nuvoletta grigio-rosa e mi dice: "Bimba, la realtà è questa". La realtà è che sei una povera bimba, con tante fregnacce per la testa quando invece, ogni giorno, dovrebbe essere grata di quello che ha e di quello che potrebbe avere. E allora questa bimba si mette una mano sul cuore, adesso, e promette di non dimenticare. Soprattutto, promette di farsi da parte, in modo tale che il mondo intero se ne stia in silenzio non per guardarLA passare, ma per guardare quel padre e quel figlio.

sabato 28 giugno 2008

I miei sono dall'altra parte del mare.

I miei sono dall'altra parte del mare e io qui a casa da sola, con la micia. E' una situazione che si ripresenta da 3 anni a questa parte, da quando il maledetto ultimo esame di luglio mi costringe a dire di no alla Croazia, a quel paesino arroccato in una piccola insenatura, a quel porticciuolo dove tutte le mattine, sul presto, i pescatori attraccano e iniziano a pulire il pesce, attorniati dai gabbiani pronti a raccogliere i resti. E dire di no a quell'acqua fredda e cristallina, a quei sassi bianchi bianchi e scomodi scomodi per stendersi al sole -ma un miliardo di volte più puliti della sabbia della Riviera- non è mai facile.

Croazia per me è sinonimo di semplicità, di tranquillità, di ingenuità. Croazia per me è fare colazione in un tavolino per metà illuminato dal sole caldo, sollevare gli occhi dalla fetta di pane nero che sto spalmando di marmellata per tuffarli nel mare lì di fronte. E che bello quando il mare di prima mattina è piatto piatto, con tanti luccichii che si muovono sulla superficie al ritmo delle sue piccolissime onde. Croazia per me è percorrere la stradina che costeggia la spiaggia e sentirmi chiamare dai gelatai, che già alle prime ore del giorno vogliono rifilarti uno dei loro gelati dai gusti quasi tutti uguali -ecco, forse nell'Istria l'unico neo è appunto il gelato-: "Buongiorno Miss Italia, come stai?". Mi chiamano Miss Italia, questi gelatai. Mi hanno appioppato quest'appellativo un tantinello esagerato dalla prima volta che mi hanno vista (avrò avuto si e no 15/16 anni) e qualche giorno fa, appena hanno scorto i miei che si dirigevano verso la spiaggia, hanno chiesto loro dove fosse Miss Italia e di portarle i loro saluti. Croazia per me è il sapore del pesce fresco, cucinato divinamente e pagato un'inezia, rispetto ai prezzi da capogiro di una Milano Marittima o di una Riccione. Croazia per me è abbandonare quella stradina per scendere attraverso gradini di roccia nelle spiaggette più belle, quelle chiuse tra gli scogli, quelle che bastano 2 lettini per non esserci più spazio per nessuno. Quelle che alle spalle hanno una splendida villa, oggetto di tanti sogni e di tante favole immaginate scherzosamente con i miei.


Croazia per me è starmene al sole per un'oretta dopo la colazione, per poi seguire babbo -camminatore instancabile- nelle sue passeggiate in costume e sandali, lungo quella stessa stradina che porta alla fontanella per i rifornimenti di acqua fresca da portare poi a mamma. Qualche volta andiamo oltre e proseguiamo in cima al monte dove sorge il paese antico: per arrivarci non c'è solo la statale, ma c'è sempre quella stradina che però si trasforma in una lunga scalinata immersa nel verde della macchia mediterranea. Ripidissima, faticosa. Sembra di stare nello scenario di un film, che so, Indiana Jones. I gradini -gradONI- rocciosi di questa scala sono numerati: ogni cento trovi il numero corrispondente..100, 200, 300..in tutto sono 756, se non ricordo male. Spesso io, drogata della corsa, me li sono fatti tutti di corsa, nonostante le mie gambine corte implorassero pietà. L'ultimo tratto è sempre al sole, così quando arrivi in cima, tutto sudato, anche tu sei luccicoso come il mare. Sbuchi ai piedi delle vecchie mura, ma mancano ancora una cinquantina di gradini per essere nel centro del paesino. Attraversi i viottoli stretti chiusi dalle casette di pietra e giungi nello spiazzo retrostante la chiesa. Sei nel punto più alto, guardi giù e vedi piccola piccola la spiaggia dove mamma si sta abbrustolendo e vorresti tuffarti da lassù, perchè il mare non ti è mai sembrato tanto bello.

Croazia per me è prendere il battello che ti porta nell'isola di Cherso, solitaria, selvaggia, misteriosa. Croazia è non aver bisogno della discoteca o del bagno figo dove andare a ballare la sera, basta apprezzare le piccole orchestrine che suonano dentro all'hotel di fianco al tuo, dalla tipica forma quadrata. Croazia per me è quel gruppo di bambini che, una sera, al tramonto, nel paese antico giocava a calcio in un campetto improvvisato. Croazia per me è il micino di quel piccolo ristorante che, mentre spilucchi il tuo piattone di astici, ti guarda ansioso, perchè sa che tutto quello che avanzerà sarà suo. Croazia per me è spostarsi un pochino nell'interno e trovare uno scenario completamente diverso dall'atmosfera turistica e piacevolmente ovattata della costa; uno scenario che ha conosciuto la guerra e la fame e che non si nasconde, anzi, si racconta nelle parole del gestore anziano del ristorante, che ti guarda sorridente mentre ti porta un vassoio colmo di pesce e ti offre la grappa della casa.

lunedì 23 giugno 2008

10

C'era una volta IL numero 10...



sabato 21 giugno 2008

Fly away on my zephyr...

...we'll find a place together???



Sembra che il contatto col mondo circostante mi stia sfuggendo sempre più di mano. E' come se fossi l'unica a vivere determinate situazioni, determinate sensazioni, in un certo modo. Perlomeno, io mi sento così. Mi sento come se tutto ciò a cui attribuisco un'importanza enorme, per gli altri fosse poco o addirittura niente. Come se il mio bisogno di emozionarmi anche per nulla, come una bambina estremamente ingenua, nessun'altro lo conoscesse. Eppure è proprio questo che voglio: essere ancora semplice, di una semplicità disarmante. Io so vivere solo così. Io posso vivere solo così. Non me ne faccio nulla delle grandi promesse e delle grandi aspettative, se poi ogni giorno non trovo un piccolo motivo per sentirmi felice. No vabè, felice è forse pretendere troppo per la sottoscritta. Diciamo per sentirmi in gioco. Ecco forse "in gioco" rende meglio l'idea. Perchè tutto per me è un dare e un avere, sempre. E quando mi accorgo che quello che do - a volte può non essere molto, lo so, ma so anche che in ogni briciola c'è comunque un pezzetto dell'anima mia - non riesce a suscitare nemmeno un sorriso, beh a me sinceramente viene voglia di mandare a quel paese cani e porci. Le vie di mezzo? Mai accettate nella mia vita, mai accettate per quanto riguarda i rapporti e i sentimenti sinceri. E che sia difficile starmi vicino, stare vicino alle mie paure, alle mie paranoie, ai miei scazzi, lo so benissimo anche da sola, non c'è proprio bisogno che mi venga ricordato. Però, santissimo cielo, è vita anche quella..o no? A me il cuore batte forte sia quando sono incazzata e delusa dal mondo, sia quando viceversa il mondo mi sembra un paradiso incantato. Perchè le persone fanno fatica a sincronizzare il battito del loro cuore col mio? Perchè questo vivere in sordina, questo non fare mai follie, questo non prendersi un sacrosanto minuto per ascoltare con attenzione un vuoto che c'è e che non si potrà ignorare in eterno? Io sono la prima, spesso, a chiudere gli occhi e a rassegnarmi: penso che forse dovrei davvero smetterla e iniziare ad adattarmi al ritmo ovattato e lento di chi i grandi sogni li ha impacchettati e messi in cantina a prendere polvere. Di chi non si ricorda più com'era bello essere piccoli e volersi bene indipendentemente dall'aspetto fisico e da quanto si è fighi. Di chi ti tiene per mano finchè sei ganza, ma, appena inizi a spegnerti e a scolorire, non fa nulla per aiutarti a ritrovare un po' di colorito. Però non mi va più, non mi va proprio più di adattarmi. Egoista, illusa, spavalda. Può essere, ma soprattutto: eternamente insoddisfatta. E quando ci si sente perennemente in questo stato, quando si ha sempre il sentore che qualcos'altro di più è possibile, c'è, esiste da qualche parte, non ci si deve adattare. Non si deve frenare un istinto o una necessità o una voglia, solo perchè è troppo. E' troppo, okay, e allora? Lasciarsi travolgere, solo in questo credo.

In the water where I center my emotion
all the world can pass me by..

lunedì 16 giugno 2008

Nostalgia di Inzaghi

Nostalgia di Inzaghi, il ladro di gol che raddrizza le partite impossibili



BADEN — Se del senno di poi sono piene le fosse, figuriamoci le partite di calcio. Soprattutto quelle che non sono filate per il verso giusto. «Dura lex, sed lex», dunque: sarà anche dura da digerire, ma è la legge del pallone, cui ovviamente neppure Donadoni, alle prese con i deludenti risultati azzurri, può pensare di sottrarsi. Ad esempio, vista con il senno di poi e per come si è dipanata, la sfida con i romeni pareva ritagliata su misura per Pippo Inzaghi, il trombato forse più eccellente tra tutti coloro che avrebbero potuto ragionevolmente aspirare all’avventura austro-elvetica. Agguantato il pareggio un minuto dopo il colpo gobbo di Mutu, la nostra squadra ha infatti provato a sfondare la resistenza romena, anche a costo di rischiare le velenose verticalizzazioni avversarie, ma lo ha fatto in maniera confusa, nervosa, istintiva. Nessuna traccia di gioco organizzato perché, venendo meno la brillantezza, si sono perduti un po’ tutti i punti di riferimento consolidati in due anni di lavoro.

Donadoni ha cercato di rimettere in linea di galleggiamento la manovra, con Cassano (prima) e con Quagliarella (poi), quando è apparso evidente che, ancora una volta, Alex Del Piero si era perduto nei meandri di una partita azzurra, ma il suo è stato sostanzialmente un buco nell’acqua. Manca la controprova, ma se in panchina ci fosse stato il cecchino che in Europa ha segnato come Gerd Müller, forse sarebbe stata tutta un’altra musica. Pippo Inzaghi nidifica nell’area di rigore, è abilissimo a mimetizzarsi tra i difensori, è una sorta di rabdomante del gol. La sua specialità sono i palloni senza una logica, quelli sporchi, sghembi, disperati: giusto quelli che gli azzurri hanno pompato verso la porta di Lobont in maniera soltanto rabbiosa. Avesse dato retta allo strepitoso finale di stagione del milanista, il c.t. si sarebbe dotato di una seria alternativa allo schema che prevede la ricerca insistita di Toni.

Inzaghi poteva essere la chiave di emergenza per le partite chiuse a doppia mandata. Invece ci ritroviamo a maledire la iella, il pallone che non voleva entrare in porta e l’arbitro cornuto. Bocciando a suo tempo Superpippo, Donadoni aveva compiuto una scelta di rottura ma venerdì a Zurigo, quando c’era da far capire a Del Piero che non era il caso di insistere, ha rinunciato pure alla coerenza, ignorando Totò Di Natale, l’attaccante che più di ogni altro aveva caratterizzato la sua Italia post-Mondiale. Nel tentativo di sterzare dopo la sbandata con gli olandesi, il c.t. ha così messo alle spalle due anni di lavoro esibendo fin dal primo minuto il 4-3-1-2, che di tutti gli schemi in dotazione alla nostra nazionale era il solo ad essere stato utilizzato per i ritagli di partita.

Ripescate dalla naftalina pure le due punte, impiegate una volta soltanto a Saint- Denis quando i francesi ci suonarono per 3-1 subito dopo il Mondiale tedesco (6 settembre 2006): allora, peraltro, il quadro tattico era stato differente, e si era articolato attraverso un 4-4-2 mai più riproposto. Insomma, questo vero e proprio ribaltone, accentuato dal pesante rimpasto della squadra (di difficile comprensione la rinuncia ad Ambrosini per Perrotta nel ruolo di centrocampista di sinistra del rombo), sa tanto di navigazione a vista. E se, come verosimilmente potrebbe essere, martedì andremo a caccia della prima vittoria (senza rigori) sui francesi dopo trent’anni aggrappandoci ad ulteriori correzioni di rotta—dal lancio full time di Cassano al ripescaggio di Di Natale —, la sensazione di precarietà potrebbe accentuare il rimpianto dell’Italia che avevamo sognato e che difficilmente ritroveremo più.

Alberto Costa
da "Il Corriere della Sera", 15 giugno 2008.

giovedì 12 giugno 2008

Credo.

Credo che c'ho un buco grosso dentro..

Credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso..



Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perchè comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri..


Credo che per credere, in certi momenti, ti serve molta energia.

lunedì 9 giugno 2008

Che grande che sei.

"Che grande che sei."

Così recitava il messaggino inviatomi qualche minuto fa da V.
Ed è da qualche minuto che non faccio altro che leggerlo e rileggerlo. Non ci vuole tanto tempo, me ne rendo conto. Solo, non me lo aspettavo. Solo, è arrivato come una piacevole doccia fresca dopo litri di sudore versato. Anzi no, perchè il sudore versato implica una fatica o uno sforzo e io, di muscoli, ne ho mossi meno di zero. Non ho azionato nemmeno la mia unica neurona, neanche lei, che ama tremendamente poltrire. Mi sono limitata ad essere me stessa, a proporre a V. un'idea, a dirle che per me non sarà assolutamente un problema, aspettarla dopo il lavoro. Insomma, discorsi di tutti i giorni, discorsi normalissimi tra due amiche che hanno tanta voglia di vedersi dopo altrettanti mesi passati lontane l'una dall'altra. Però lei mi ha scritto così e io mi sono messa a pensare quanto sia bello sapere che c'è qualcuno che, anche solo per un nanosecondo, ti ritiene una persona "grande". Inutile dire che l'anagrafe non c'entra nulla. Inutile - e banale - etichettare la suddetta sensazione come una tipica esternazione di affetto. L'amicizia non si etichetta, l'amicizia è come uno di quei barattoloni di marmellata senza indicazione dell'anno di preparazione, che tanto a te non importa del quando, l'importante è aprirlo subito, immergere il cucchiaino, chiudere gli occhi e sentire solo dolcezza allo stato puro. Inutile ipotizzare che magari V. quel messaggino l'ha scritto senza pensarci troppo su, e tu invece da quel misero mucchietto di pixel stai addirittura ricavando un post. Inutile tutto ciò, perchè quel che conta è il sorriso che m'ha regalato. Semplicemente, come semplice è un po' di frutta mista a zucchero.

venerdì 6 giugno 2008

martedì 3 giugno 2008

Ieri babbo mi raccontava...

Ieri babbo mi raccontava di quand'era piccolo. Capita spesso che mi parli della sua infanzia e a me ogni volta sembra di tuffarmi in un mondo lontanissimo. Non che mio babbo abbia secoli di storia alle spalle, però la sua sessantina d'anni ce l'ha e, visti i progressi ( o regressi? ) che il mondo ha fatto ultimamente, sessant'anni sono tanti.
Mi raccontava che, all'epoca, di pattume ce n'era pochissimo, perchè non esisteva la miriade di confezioni, contenitori, imballaggi - e via discorrendo - che oggi costituisce più della metà dei nostri rifiuti. Il latte, l'acqua, il vino, lo yogurt e tutti i prodotti liquidi o semi-liquidi si trovavano esclusivamente in bottiglie di vetro, che bastava sciacquare e poi riutilizzare. Di conseguenza nel cassonetto ci finivano solo scarti alimentari e poco altro. Che poi, manco il cassonetto andava tanto di moda.. al suo posto, ogni sera - o giù di lì - passava quello che oggi definiremmo l'operatore ecologico, su di una bicicletta con tanto di bidoni del rusco incorporati. Suonava una specie di corno per avvisare del suo passaggio, così chi aveva bisogno scendeva in strada e si liberava del carico. E io non so, ad immaginarmi la scena mi sono sentita immediatamente catalputata sul set di Amarcord.. nella scena fenomenale delle lezioni a scuola, in quella del pavone ( "..oscia che pataca..") che si mette a fare la ruota nel bel mezzo di una nevicata, oppure ancora in quella della festa di paese in occasione del Lom a Mérz. Mi rendo conto che nessuna di queste ha niente a che vedere coi rifiuti, ma la mia mente ha divagato e io l'ho seguita.
Poi babbo mi ha raccontato, sempre per restare in tema, dello spazzacamino. Di tanto in tanto passava anche lui per le strade del centro, con la saccoccia piena delle sue spazzole.. e di casa in casa la gente gridava "C'è lo spazzacamino!!" e tutti correvano ad aprire la porta. Ho cambiato set e mi sono ritrovata a volare sui tetti con Mary Poppins e Bert, canticchiando:

"Cam caminì, cam caminì, spazzacamin,
allegro e felice, pensieri non ho,
cam caminì, cam caminì spazzacamin,
la sorte è con voi se la mano vi do.
Chi un bacio mi dà,
felice sarà.

Tu penserai che lo spazzacamin
si trovi del mondo al più basso gradin.
Io sto fra la cenere eppure non c'è
nessuno quaggiù più felice di me."


lunedì 2 giugno 2008