
"Che succede, Pekisch?"
(...)
"Schifezze" rispose.
"Cosa sono le schifezze?"
"Sono cose che nella vita non bisogna fare."
"E ce n'è tante?"
"Dipende. Se uno ha molta fantasia, può fare molte schifezze. Se uno è scemo magari passa tutta la vita e non gliene viene in mente neppure una."
La cosa si complicava. Pekisch se ne accorse. Si tolse gli occhiali e lasciò perdere Jobbard, i tubi e le altre storie.
"Mettiamola così. Uno si alza al mattino, fa quel che deve fare e poi la sera va a dormire. E lì i casi sono due: o è in pace con se stesso, e dorme, o non è in pace con se stesso e allora non dorme. Capisci?"
"Sì."
"Dunque bisogna arrivare alla sera in pace con se stessi. Questo è il problema. E per risolverlo c'è una strada molto semplice: restare puliti."
"Puliti?"
"Puliti dentro, che vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergognare. E fin qui non c'è niente di complicato."
"No."
"Il complicato arriva quando uno si accorge che ha un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. Okay?"
"Okay."
"E allora si chiede: devo starlo a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?"
"Già."
"Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
"Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?"
"No. Ma sta' attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di star dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. Solo questo è importante. "
Pehnt stette un po' lì a pensare.
"Ma quante volte lo si può fare?"
"Cosa?"
"Fare schifezze."
"Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto."
"Dieci?"
"Magari un po' meno. Se sono vere schifezze, un po' meno."
"Cinque?"
"Diciamo due... poi se ne scappa qualcun'altra..."
"Due?"
"Due."
Pehnt scese dalla sedia. Camminò un po' avanti e indietro per la stanza, rimuginando pensieri e fette di frasi. Poi aprì la porta, uscì sotto la veranda e si sedette sui gradini dell'ingresso. Tirò fuori da una tasca della giacca un quadernetto viola: logoro, spiegazzato, ma con una sua dignità. Lo aprì con meticolosa cura alla prima pagina bianca. Prese dal taschino un mozzicone di matita poi gridò verso l'interno della casa:
"Cosa c'è dopo due sette nove?"
"Due otto zero."
"Grazie."
"Prego."
Lentamente e con meticolosa fatica Pehnt iniziò a scrivere:
280. Schifezze - un paio nella vita.
Stette un attimo a pensare. Andò a capo.
Poi si pagano.
Rilesse. Tutto a posto. Chiuse il quadernetto e lo infilò in tasca.
Tutt'intorno Quinnipak arrostiva al sole di mezzogiorno.
Tratto da "Castelli di Rabbia"
di Alessandro Baricco.