venerdì 28 agosto 2009

Ancora qui.



Ancora qui. Perchè non ha senso far finta di aver dimenticato il blog. Perchè non è il blog che con la sua presenza mi spinge a scriverci su. Sono io che devo scriverci su. Che lo voglio proprio.
"Ma finalmente arriva il giorno che tu fai pace con te.."
Inutile fare promesse.. sono tornata ma non so quanto resterò. Può darsi che tra 4/5 post sparisca di nuovo, sommersa non si sa bene da quale calamità naturale. Come può darsi che riesca davvero ad affezionarmi all'idea che scrivere, che io lo voglia o meno, è l'unica cosa che mi può salvare. Dalla calamità naturale non meglio specificata di cui sopra, per l'appunto.
"..capire il vento la ragione il momento.."
E in questo secondo caso allora sì che la rete, che il mondo bloggers mi avrà perennemente alle calcagna.. come una cozza testardamente abbarbicata ad uno scoglio. Che gli scogli, prima o poi, vanno affrontati. Vanno guardati in faccia e affrontati. Troppo facile dirsi che non c'è tempo, che il computer è lento e la fantasia risente della crisi. Panzane. Tutte sacrosante panzane che da qualche mese a questa parte mi sono sparata nelle cuffie con la ridicola speranza di autoconvincermene. Che poi questa è un po' la storia della mia vita: quasi 24 anni di favole. A partire da quelle che mi raccontavano o che leggevo da piccina (forse le più veritiere di tutte, concludo ad oggi col senno di poi), passando per quelle tanto potenti quanto patetiche della sempre tremenda adolescenza, arrivando a questa età che definire non so.. l'età della disillusione? Ma magari! Adesso regnano incostrate le favole dal retrogusto dolceamaro. Le favole del tipo "vedo-non vedo".. che crescere prima o poi dobbiamo farlo tutti, ma io no, io forse mi credo tanto speciale da poter auto-esonerarmi.. io ogni sacrosanto giorno afferro decisa il libretto delle giustificazioni, scrivo "assente" e a fianco appongo fiera e soddisfatta la mia illustre firma. Il libretto delle giustificazioni. Perchè, per l'appunto, mi fingo di andare ancora a scuola, io.
"..spogliarsi di ogni certezza, inseguire un canto.."
Bè comunque sono tornata. Per quanto possa valere. Cioè meno di zero. Ma i numeri negativi a cosa servirebbero, altrimenti?
"..anche se per gli altri sarà.. follia.."

venerdì 29 maggio 2009

Schifezze.


"Che succede, Pekisch?"
(...)
"Schifezze" rispose.
"Cosa sono le schifezze?"
"Sono cose che nella vita non bisogna fare."
"E ce n'è tante?"
"Dipende. Se uno ha molta fantasia, può fare molte schifezze. Se uno è scemo magari passa tutta la vita e non gliene viene in mente neppure una."
La cosa si complicava. Pekisch se ne accorse. Si tolse gli occhiali e lasciò perdere Jobbard, i tubi e le altre storie.
"Mettiamola così. Uno si alza al mattino, fa quel che deve fare e poi la sera va a dormire. E lì i casi sono due: o è in pace con se stesso, e dorme, o non è in pace con se stesso e allora non dorme. Capisci?"
"Sì."
"Dunque bisogna arrivare alla sera in pace con se stessi. Questo è il problema. E per risolverlo c'è una strada molto semplice: restare puliti."
"Puliti?"
"Puliti dentro, che vuol dire non aver fatto niente di cui doversi vergognare. E fin qui non c'è niente di complicato."
"No."
"Il complicato arriva quando uno si accorge che ha un desiderio di cui si vergogna: ha una voglia pazzesca di qualcosa che non si può fare, o è orrendo, o fa del male a qualcuno. Okay?"
"Okay."
"E allora si chiede: devo starlo a sentire questo desiderio o devo togliermelo dalla testa?"
"Già."
"Già. Uno ci pensa e alla fine decide. Per cento volte se lo toglie dalla testa, poi arriva il giorno che se lo tiene e decide di farla quella cosa di cui ha tanta voglia: e la fa: ed eccola lì la schifezza.
"Però non dovrebbe farla, vero, la schifezza?"
"No. Ma sta' attento: dato che noi non siamo calzini ma persone, non siamo qui con il fine principale di essere puliti. I desideri sono la cosa più importante che abbiamo e non si può prenderli in giro più di tanto. Così, alle volte, vale la pena di non dormire pur di star dietro a un proprio desiderio. Si fa la schifezza e poi la si paga. E solo questo è davvero importante: che quando arriva il momento di pagare uno non pensi a scappare e stia lì, dignitosamente, a pagare. Solo questo è importante. "
Pehnt stette un po' lì a pensare.
"Ma quante volte lo si può fare?"
"Cosa?"
"Fare schifezze."
"Non troppe, se si vuole riuscire a dormire ogni tanto."
"Dieci?"
"Magari un po' meno. Se sono vere schifezze, un po' meno."
"Cinque?"
"Diciamo due... poi se ne scappa qualcun'altra..."
"Due?"
"Due."
Pehnt scese dalla sedia. Camminò un po' avanti e indietro per la stanza, rimuginando pensieri e fette di frasi. Poi aprì la porta, uscì sotto la veranda e si sedette sui gradini dell'ingresso. Tirò fuori da una tasca della giacca un quadernetto viola: logoro, spiegazzato, ma con una sua dignità. Lo aprì con meticolosa cura alla prima pagina bianca. Prese dal taschino un mozzicone di matita poi gridò verso l'interno della casa:
"Cosa c'è dopo due sette nove?"
"Due otto zero."
"Grazie."
"Prego."
Lentamente e con meticolosa fatica Pehnt iniziò a scrivere:
280. Schifezze - un paio nella vita.
Stette un attimo a pensare. Andò a capo.
Poi si pagano.
Rilesse. Tutto a posto. Chiuse il quadernetto e lo infilò in tasca.

Tutt'intorno Quinnipak arrostiva al sole di mezzogiorno.



Tratto da "Castelli di Rabbia"
di Alessandro Baricco.

mercoledì 27 maggio 2009

E al diavolo tutto.



Che se cado una volta, una volta cadrò..


e da terra, da lì m'alzerò.


C'è che adesso che ho imparato a sognare, non smetterò.

mercoledì 20 maggio 2009

Oggi ho.


Oggi ho fatto colazione con caffèlatte caldo e biscotti inzuppati dentro.

Oggi ho spolverato la mia camera, spostato tutti gli oggettini-oggettucci sulle mensole e cercato di dare una parvenza di ordine al caos che puntualmente mi circonda. Nonostante tutto, nonostante l'impegno nel divellerlo.

Oggi ho corso, col "sole dritto in faccia e sotto la mia buccia che cosa mi farai" (cit. "Ti Sento" di Luciano Ligabue).

Oggi ho usato il mio immancabile bagnoschiuma al borotalco e, per la prima volta quest'anno, ho lasciato che i capelli si asciugassero in parte da soli. Fa già tanto caldo.

Oggi mi sono schizzata il naso risucchiando gli spaghetti al pomodoro.

Oggi ho usato la matita a righe gialle e nere con la punta bianca e rossa in cima - la classica matita di sempre e non l'anonimo portamine - per sottolineare il libro che sto studiando.

Oggi ho fatto acquisti: crema-corpo al lampone - fa già tanto caldo, ve l'ho detto, e ho voglia di qualcosa di fresco addosso - e taaaaanto, taaaaantissimo succo di frutta all'arancia rossa. Mi è presa voglia di arancia rossa, tutto di botto. Mai successo prima. Mai amata molto l'arancia.. bah.

Oggi ho scritto a Michela, che scriverle mi fa sempre un piacere immenso e mi pare quasi di averla qui, e non a centinaia di km di distanza. Ma prima o poi a Genova ci vengo, eccome.

Oggi ho sorriso guardando il peluche a forma di fiore vinto ieri sera alle giostre con Manu. Le giostre.. un piccolo mondo che viene e che va.. mi ci portava babbo e salivamo sugli aeroplanini senza vincere mai, oppure andavo nel calcinculo (ma quello per i bimbi e avevo addirittura paura a sbilanciarmi per afferrare il cordino - razza di bambina paurosa che sono sempre stata!- ), oppure nella giostra che gira in tondo e il mio posto era quasi sempre la carrozza della principessa o il cavallo che trotterella.


Oggi Pietro ha compiuto un mese. Sta iniziando a sorridere e credo non ci sia niente di più bello al mondo di un bimbo che sorride.

domenica 17 maggio 2009

Cose.



E' passato più di un mese ma, alla fine, sono tornata.

E' stato un mese fitto di cose, anche se chiamarle "cose" è terribilmente e orridamente riduttivo.

Innanzitutto va detto che mercoledì prossimo, mercoledì 20 maggio, Pietro compirà un mese. E' passato un mese anche per lui, il suo primo mese di vita. E' passato il mio primo mese in qualità di zia e non so davvero come spiegarvelo, come dipingervelo, come raccontarvelo. Forse è anche per questo che sono stata in silenzio così a lungo, per la mia solita irrazionale paura di sminuire gli eventi e le annesse sensazioni. Perchè quando certe "cose" sono talmente belle da lasciarmi senza fiato, io banalmente ammutolisco. Non ci provo nemmeno, mi ritengo automaticamente incapace di rappresentarle, di tradurle in parole. Mi nego il piacere, altrettanto importante credo, della condivisione. Datemi tempo, non ho intenzione di sparire di nuovo, non voglio più censurarmi.. datemi tempo e ve lo racconterò. Vi dirò com'è stato ricevere il messaggino di mio fratello: "E' nato Pietro".. d'altra parte il messaggino è ancora lì, nel mio cellulare. E so che non lo cancellerò mai.

Poi tante altre "cose". Meno mozzafiato, ma comunque "cose" di un certo spessore.

Tipo che circa due settimane fa è uscita la rivista con l'articolo che ho scritto sulla mia tesi. Ve ne avevo parlato, se non ricordo male. Vi avevo anticipato che sarebbe stato pubblicato il mio primo articolo. E anche qui.. anche qui sono ammutolita di fronte al mio nome scritto in alto, vicino al titolo. Anche qui mi sono chiusa a riccio, porca miseria.

E un'altra "cosa". Dieci giorni fa, nella casella di posta della mail universitaria, una segnalazione: in base al mio curriculum e al questionario compilato al tempo della laurea, mi veniva consigliato un corso di formazione in tecniche redazionali. Editoria, il mondo dell'editoria. Ieri l'altro: primo giorno di questo corso e già, un po' troppo ingenua e fantasiosa, mi ci sono sentita dentro, a quel mondo. Devo ancora metabolizzare, ma forse sono in tempo per evitare che le parole mi si prosciughino in bocca.. forse, tornando a scrivere qui, almeno questa "cosa" troverà il riflesso che merita.

Infine, tutta una serie di "cose" che non sono solo mie, ma che ovviamente in quel mondo arzigogolato che è la mia mente, vivo in un modo particolare.. tipo la primavera, tipo il pensiero che tra una settimana sarò a casa da sola con la micia per qualche giorno, tipo che quest'estate io e Vale ce ne andremo una settimana al mare e dire che ne ho voglia e bisogno è dire poco, tipo che mi guardo intorno e vedo sempre meno persone che mi conoscono davvero e questa cosa mi spaventa.. mi spaventa forse perchè la colpa, per buona parte, è anche mia, che non mi apro mai del tutto, che ammutolisco appunto, che piego la testa per adattarmi ad una certa immagine quando magari dentro sento tutt'altro. Tipo che sento il mio istinto gridarmi forte e chiaro di lasciarmi andare, di fare ciò che mi fa stare bene, di imparare ad essere un po' egoista, anche a costo di ferire, perchè non si può sempre sorridere e fingere, perchè forse sorridere e fingere è il vero modo di fare male, mentre essere sè stessi, a volte, è l'unica strada per essere (passatemelo) felici sul serio.

Tipo tante altre "cose" che racconterò, scriverò, vivrò.

Tipo che sono tornata e adesso vengo a salutarvi uno per uno.

lunedì 13 aprile 2009

Ecco il post sul terremoto.

Uno di voi, commentando uno dei miei precedenti post, ha scritto, tra le altre cose: ".. mi aspettavo un post sul terremoto".
Beh.. scusate per questo ennesimo prolungato silenzio.

Scusate se "sul terremoto" (lo scoop del momento, lo scandalo che fa sfregare le mani a Vespa, la notizia che fa luccicare di flash fotografici la capoccia di Silvio munita di elmetto.. la tragedia, in poche parole, che tra una settimana sarà già dimenticata) non ho avuto niente da dire.
Scusate se su tante altre piccole o grandi cose, di conseguenza, ho avuto ancora meno da dire.
E' che forse, me ne sono resa conto in questo periodo un tantinello tremendo, non sempre bisogna per forza dire qualcosa.
A volte anche il silenzio, consapevolmente o meno, puo' dire tutto quello che gli altri si aspettano da noi.
Chiudo promettendo di tornare quanto prima con le mie piccole grandi impressioni/cretinate sul mondo.
Chiudo stringendo la mano a quei porci che hanno costruito e continuano a costruire case, scuole, ospedali, studentati, l'Italia intera.. con la sabbia.
Un abbraccio forte all'Abruzzo.
Un abbraccio forte a te, Marianna, e ai tuoi cari. Che ieri, prima di iniziare un fin troppo abbondante pranzo pasquale, ci siamo fermati e vi abbiamo pensato tanto.

martedì 31 marzo 2009

"Fix you"... means for?

Mi rendo conto di avervi già tediato qualche post fa con i Coldplay.
Ma ultimamente, non so che mi prende, ste 2 canzoni mi frullano nelle orecchie in continuazione.
Stavolta, però, ho bisogno di voi.


When you try your best but you don't succeed
When you get what you want but not what you need
When you feel so tired but you can't sleep
Stuck in reverse
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone but it goes to waste.. could it be worse?
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
High up above or down below
When you're too in love to let it go
But If you never try you'll never know
Just what your worth
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you
Tears streaming down your face
When you lose something you cannot replace
Tears streaming down your face and I
promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you


Chi mi traduce "I will try to fix you"?
O, meglio, chi mi spiega come si può "fissare qualcuno"?
Intendo dire.. "fissare come"?


Guardare insistentemente (e se sì, i vostri occhi dritti nei suoi o di nascosto, magari da lontano?), immobilizzare (perchè?), stabilizzare (sì, ma come?), fermare (okay, ma dove?), imprimere nella memoria, stringere (sì, ma quanto?), avvolgere in una coperta o in un abbraccio, bloccare (d'accordo, ma per quanto?)..


E come decidete, voi, chi "fissare"? Chi "fissate" voi? Solo persone che conoscete bene, che vi regalano quotidianamente emozioni e sensazioni, o anche solo sorrisi o momenti condivisi?


Non vi capita mai di "fissare" qualcuno di cui non sapete nulla o quasi?

venerdì 27 marzo 2009

Io sono contenta di essere rappresentata dalla Santanchè.. e voi?


Ieri sera ad Anno Zero si parlava del famigerato quanto tormentato decreto legge sul piano-casa.

Un giornalista che, a mio parere, c'ha 2 palle GROSSE COSI' e che di nome fa Ferruccio Sansa, ha fatto un'osservazione intelligente e perspicace, facendo notare che ciò che può dare una spintarella all'economia non è soltanto la costruzione di nuove case (che poi magari rimangono sfitte) o l'ingrandimento del 20% di abitazioni già esistenti (che uno magari per farsi la verandina chiama 2 muratori e li paga in nero). Anche e soprattutto la ristrutturazione di edifici fatiscenti e crollanti - e in Italia ce ne sono parecchi - risulta utile a questo scopo, come Sansa ha dimostrato con tutta una serie di dati alla mano.

La Santanchè, ospite anche lei in studio, non sembrava approvare le parole del povero Sansa. Questo almeno mi è sembrato di intuire nei rari momenti in cui tentava di articolare qualche frase di senso compiuto. Del resto, infatti, era tutto un sventolare di qua e di là la sua chioma da puledra selvaggia, accavallare e ri-accavallare le gambe per inclinarsi in modo da offrire alle telecamere il suo profilo migliore (ma, mi domando, ce n'è uno?), ammiccare a Vendola e ripetere più volte "dai Nichi, io e te ci conosciamo bene...." 0_o

Ma quello che penso io è: la Santanchè contraria alle ristrutturazioni.

Il colmo.

Lei è la personificazione vivente di un edificio fatiscente e crollante ristrutturato a suon di botulino.

Che strani personaggi i politici italiani...

mercoledì 18 marzo 2009

Accarezzata da una voce così.

Cullata. Accarezzata. Coccolata.

Da una voce così.

Qualcuno fermi le lancette dell'orologio.

E non svegliatemi più.

lunedì 16 marzo 2009

Qualcuno chiami la neuro!

Sinceramente...

voi quanto scommettereste sulla possibilità che una matta del genere


riesca a pubblicare un, seppur stringato, articoletto su una, seppur locale, rivista dal titolo "Università Aperta"?

Io, detto tra noi, nemmeno mezzo centesimo.

Che c'è per davvero il rischio che poi questa Università, da Aperta, diventi Chiusa.

E invece...

A quanto pare...

A maggio...

Questo striminzito articoletto trattante l'argomento di tesi della suddetta matta apparirà proprio su cotale rivista...

Che tempi, io dico...

Che tempi!

sabato 14 marzo 2009

Oggi mi sento Yellow.



Una volta, una persona mi prese per mano e mi portò in cima al Monte Castellaccio, una modesta collinetta situata al centro del mio parco preferito. Era una sera di primavera. Forse d'autunno, non ricordo bene. Non ci fu bisogno di tante parole e, una volta in cima, mi mise gli auricolari del lettore mp3 nelle orecchie e spinse il tasto "play". Sorrisi e ci guardammo. Note e parole di "Sally" fra noi.


Ora, io so benissimo che certe cose non tornano nè tantomeno le si può richiedere espressamente. Certe cose ti vengono spontanee o non ti vengono per niente. D'altronde tanta acqua è passata sotto i ponti, io sono cambiata. Forse sono la stessa, non ricordo bene. Quella persona è uscita dalla mia vita, altre ne sono entrate. Ma io vorrei ritornare lassù oggi e vorrei che dagli auricolari uscisse Yellow. Vorrei ritornare lassù con qualcuno che abbia bisogno e voglia di Yellow almeno tanto quanto me. Qualcuno che capisca, senza bisogno di parlare. Qualcuno che sappia di cosa sto parlando.


Vorrei vedere Yellow tutt'intorno, perchè Yellow è primavera, Yellow è il colore dell'abito da sposa di mia madre, Yellow era il mio colore preferito da piccina, Yellow è come mi sentivo quando Marzo avanzava e a Imola stava per arrivare il Gran Premio, Yellow è un girasole gigante che vorrei qualcuno mi infilasse tra i capelli, Yellow è come vorrei che il mio nipotino dipingesse il mondo nei suoi primi disegni, Yellow è il mio cuore oggi: un po' più grande, pieno, trepidante, malinconico e nostalgico.


Si può avere nostalgia di qualcosa che non si ha ancora avuto?

martedì 3 marzo 2009

Un nuovo girone infernale: avari e golosi together.


"La pasta al ragù dicono fosse ben condita e cotta al punto giusto. E pagarla 1,50 euro anziché 1,80 l'ha resa ancora più buona. Carne tenerissima e speziata come si deve per il roast beef servito per secondo: 2 euro e non più 2,50. E che dire del caffè? Precipitato a 42 centesimi anziché i 50 pagati fino a venerdì scorso (e che nel famoso bar accanto a Palazzo Madama vola a 1 euro per i comuni mortali). Da oggi, quando come ogni martedì "torneranno al lavoro" dal lungo weekend, i 315 senatori si imbatteranno nella novità che di questi tempi vale doppio: sconto del 20% per tutti i prodotti serviti in buvette."

I nostri onorevoli senatori pagano all'incirca 4 euro, centesimo più centesimo meno, per un pasto completo: primo, secondo, contorno, bibita e caffè.

Io tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, devo accontentarmi di un pranzo al cardiopalma al bar. Solitamente mangio un panino o, in alternativa, un'insalata mista con mezza scatoletta scarsa di tonno e qualche pezzetto di mozzarella. Per risparmiare, mi porto una bottiglietta d'acqua e un frutto da casa. Mi porterei volentieri anche i chicchi di caffè e la macinacaffè, se non fosse che proprio non ho tempo per prepararmi da sola la deliziosa e aromatica miscela.

Il conto? 5 euro e 50 centesimi.


Sapete cosa vi dico, cari senatori? Che il vostro pranzo completo vi vada di traverso!

domenica 1 marzo 2009

E comunque sia...altro cielo c'è.

"E' nel momento in cui dubiti di volare

che perdi per sempre la facoltà di farlo"

Jim Morrison

venerdì 27 febbraio 2009

C'era una volta, tanto.. forse troppo tempo fa.

Ho un blocco. Non riesco a scrivere. Continuo a ripetermi che è per via della stanchezza, dell'essere sempre in arrivo e in partenza dalla stazione, su e giù dal treno, dentro e fuori dalle aule di Lettere e Filosofia. Ma non ci credo fino in fondo nemmeno io, figuriamoci.

E dire che di cose da raccontare ne avrei..

Per esempio del ragazzo cieco che ho visto ieri in stazione, accompagnato dal suo cane-guida. Un labrador bellissimo. Si guardava intorno con un'attenzione per i particolari che mi ha lasciato senza parole. Io ero già salita sul treno e per una sequenza di secondi interminabili sono stata lì, imbambolata a guardarli attraverso il finestrino. Il ragazzo s'è chinato, l'ha accarazzato, gli ha sussurrato qualcosa alle orecchie. Mi è venuto da piangere e ho pianto, dietro i miei scurissimi occhiali da sole.

Per esempio del tramonto di stasera, quando verso le 18.15 pedalavo verso casa e ho sollevato lo sguardo dall'asfalto che correva sotto di me al cielo immobile sulla mia testa. C'era tanto profumo di primavera, di giornate che si allungano, di colori che riscaldano. C'era quel rosa misto aranciorossogiallo che non posso descrivere.. rovinerei l'immagine che in questo momento avete già nella vostra mente e che sì, è proprio lo stesso tramonto che ho visto io stasera. Niente di trascendentale, figuriamoci.. solo, guardandolo, mi sono commossa. Di nuovo.

Per esempio del ragazzo down che tutti i martedì alle 12.20 sale sull'autobus 3, quello che dalla biblioteca mi porta a casa. Conosce tutti i conducenti, ogni volta saluta quello di turno con un sorriso capace di sciogliere come il sole scioglie il gelato d'estate. Chiede sempre conferma del tragitto e poi si mette a chiacchierare con i visi noti incontrati spesso nell'arco di quel breve viaggio. Non l'ho mai visto imbronciato. Sono cose da invidiare queste. Piccole grandi cose da invidiare.

Perchè sì, credo di aver perso per la strada un po' di quel senso della Semplicità che mi ha sempre contraddistinto e grazie al quale, spesso e volentieri, ho sorriso alla vita nonostante tutta una serie di circostanze. Forse è per questo che non riesco più a scrivere. Provo un forte senso di colpa per tutta la felicità lasciata scivolare tra le dita come se non valesse niente e fosse facilmente recuperabile. Come se mi fosse dovuta.. e invece non lo è mai.

Sono molto arrabbiata con me stessa. Da anni, ma ultimamente in modo particolare. Perchè parlo parlo parlo, ma alla fine non concludo un emerito. Perchè piango per un ragazzo cieco e il suo cane e poi un attimo dopo sto sbuffando per un insignificante particolare della mia vita che non è esattamente come vorrei. Perchè mi sto chiudendo sempre più in un mondo tutto mio, forse mi difendo, ma da cosa non lo so.. dal grigiore, dallo squallore, dalla superficialità.. ma se io per prima.. vabè, niente.. parole al vento.

Qualcuno mi racconti una favola, per l'amor del cielo.

domenica 22 febbraio 2009

Mamma mia che roba.


Comunque quella sera, non so se perchè era il momento giusto, se era per il nostro sentimento o semplicemente perchè avevamo steso una bottiglia di vino in due, dopo aver mangiato abbiamo fatto l'amore.
Mi sono trovato nel letto con lei tra le braccia. Completamente nudi.
Tenevo il suo viso tra le mani. Come la cosa più preziosa al mondo. Le accarezzavo le guance, la fronte e le spostavo i capelli. Mamma mia che roba. Ero gonfio, pregno d'amore. Seguivo la linea delle sopracciglia, del naso, delle guance e delle labbra con la punta del mio naso. Poi sono sceso sul collo. L'ho baciato fino alla spalla. Poi ancora il collo, poi le labbra facendole sentire appena appena la punta della lingua, poi nuovamente il collo fino all'altra spalla. Sono sceso con la bocca sulla linea tra i due seni e poi, uno alla volta, li ho visitati lentamente accompagnandomi con la mano. Li sollevavo piano verso le labbra. La sua pelle così liscia, il suo colore, il suo profumo, mi... mi... boh! C'è una parola? Non c'è.
Le ho baciato i fianchi, la pancia e poi lentamente sono sceso passando per l'inguine fino al ginocchio e infine la caviglia. Nel silenzio di quel lungo viaggio c'erano attimi in cui la sentivo tremare con piccoli brividi. Sono risalito e ridisceso sull'altra sponda, sull'altra gamba. Poi l'ho baciata piano. L'ho baciata dove il nostro desiderio si incontrava. La mia lingua percorreva delicatamente un piccolissimo tratto umido e caldo come fosse una striscia di lava. La accompagnavo con le dita. Poi sono risalito e sono entrato dentro di lei.
Non ci sono stati grandi movimenti. I nostri corpi si muovevano poco e molto lentamente. Erano grandi abbracci. Ci si stringeva e ci si comprimeva l'uno contro l'altro. Cercavamo e trovavamo incastri perfetti. Un puzzle fatto solamente da due pezzi. Io e lei.
Le sentivo il respiro spezzato da sussulti. Ogni respiro era amplificato. Ricordo che mentre salivo e scendevo piano piano sopra di lei come un'onda ci siamo presi le mani. Le mie dita tra le sue. Una stretta forte, poi delicata, poi ancora forte.

La mattina mi sono svegliato prima di lei e sono rimasto a guardarla dormire. Sembrava una bambina. Chissà dov'era con la mente in quel momento, chissà cosa stava sognando. Guardavo il respiro che le muoveva la pancia e ho iniziato a respirare con la sua stessa cadenza. Respiravo in simbiosi con lei.

Prima di uscire ho apparecchiato la sua colazione.
Sul sacchetto dei biscotti ho attaccato un post-it con la mia dichiarazione d'amore.

Tu sei tutto ciò che prima
non sono mai riuscito a dire,
mai riuscito a vedere, fare, capire.
Finalmente sei qui... ho aspettato tanto.
Ci vediamo stasera.


Tratto da "E' una vita che ti aspetto"
di Fabio Volo.

lunedì 9 febbraio 2009

Ciao, Eluana.

domenica 8 febbraio 2009

Dedicato a Te* .

Portami oltre, che lo sai fare..

* Il "Te" del titolo non è riferito a quel fantomatico ed ipotetico professore di 2 post fa.

Il fatto poi che sempre quell'ipotetico professore abbia lineamenti e tratti tipicamente mediterran-spagnoli è puramente casuale.

Lo so che non mi credete, ma vi garantisco che è così!!

venerdì 6 febbraio 2009

Non a me, ricordatevelo.

E' rientrata a casa sconvolta e ci ha detto:

" Nel caso dovesse succedere a me una cosa del genere, voi dovete intervenire e far sospendere questi sostegni vitali perchè io provo orrore ad essere invasa in tutto e per tutto nel mio corpo da queste macchine e da mani altrui.

Quindi non a me, ricordatevelo, in questa situazione. "

Video del 2007.

martedì 3 febbraio 2009

Ipoteticamente parlando.

Secondo voi, se io..
ipoteticamentissimante parlando..
mi fossi presa una cotta per un.. ehm..
professoreconilqualedovròsostenerelasecondapartediunesame...
ehm
sarebbe un problema?
Voglio dire,
il famoso "miscere utile dulci" non potrebbe,
sempre ipoteticamentissimamente parlando..
tornarmi utile come arma sedutt..
ehm,
volevo dire
studentesca?
Pensate che,
a-d-d-i-r-i-t-t-u-r-a
con questo ipoteticissimo professore,
ma guarda un po' il destino,
seguiremo un laboratorio di scrittura..
Voglio dire,
s-c-r-i-t-t-u-r-a
.. proprio quella cosuccia che a me è sempre garbata tanto.
















E che, una voce diabolica mi suggerisce imperterrita all'orecchio,
forse forse d'ora in poi mi garberà di più assai.

domenica 1 febbraio 2009

E quando riaprì gli occhi.

".. E quando riaprì gli occhi vide Avram seduto di fronte a lei, con lo zaino appoggiato a una roccia, perso dentro di lei.

Una volta, quando la osservava in quel modo, con quello sguardo, lei si metteva subito a nudo davanti a lui, perchè la scrutasse dentro, indisturbato. Non permetteva a nessuno di guardarla così, nemmeno a Ilan. Solo ad Avram dava questa possibilità, gliela dava, come in quell'espressione disgustosa. Gli dava tutta se stessa. Era stato così fin quasi dal primo momento in cui lo aveva conosciuto, perchè aveva la sensazione, la convinzione - bè, ancora con le tue convinzioni? Erano desideri, illusioni, ma non impari mai niente? - che dentro di lei ci fosse qualcosa, o qualcuno, che nemmeno lei conosceva bene, forse la solita Orah ma in una composizione diversa, più fedele alla sua natura, più precisa, meno vaga, alla quale Avram probabilmente sapeva come arrivare. Era l'unico che la conoscesse veramente e potesse fecondarla con lo sguardo, con la sua sola esistenza. Senza di lui lei semplicemente non esisteva, non aveva vita, quindi era sua, di diritto.

Era stato così a sedici anni, a diciannove, a ventidue. Orah distolse bruscamente lo sguardo. Temeva forse che Avram potesse ferirla lì, punirla per qualcosa, vendicarsi di lei in quel punto. O magari avrebbe scoperto che non c'era più niente dentro di lei, che la Orah che gli era appartenuta si era inaridita ed era morta insieme a ciò che si era inaridito ed era morto dentro di lui.

Sedevano in silenzio, metabolizzando ciò che era appena avvenuto. Orah si stringeva le ginocchia, diceva tra sè che non era più tanto accessibile e avvicinabile come un tempo, nemmeno a se stessa. Neppure lei si accostava più a quel punto dentro di sè. Probabilmente per via della vecchiaia, si disse (da un po' di tempo provava la strana ansia di proclamarsi vecchia, come se non avesse la pazienza di aspettare il sollievo della dichiarazione ufficiale del fallimento). E' così che funziona: gli esseri umani si separano da se stessi ancora prima che lo facciano gli altri, addolcendo il colpo che, in ogni caso, subiranno di lì a poco."

Tratto da "A un cerbiatto somiglia il mio amore"
di David Grossman

venerdì 30 gennaio 2009

Perfino il tuo dolore...

... potrà apparire poi Meraviglioso

martedì 27 gennaio 2009

L'angelo della morte.

Josef Mengele nacque il 16 marzo 1911 a Günzburg primo figlio di Karl Mengele e Walburga Hupfauer. La famiglia aveva una solida tradizione cattolica ed un orientamento politico nazionalista. Il giovane Josef già nel 1927 aderì alla Lega Pangermanica della Gioventù e nel 1931 alle formazioni giovanili dello "Stalhelm" l'organizzazione revanscista tedesca. Dal 1930 aveva deciso di studiare medicina ed aveva iniziato gli studi a Monaco proseguendoli a Monaco e a Vienna. Si laureò nel 1935 con una strana tesi dal titolo "Ricerca morfologico-razziale sul settore anteriore della mandibola in quattro gruppi di razze".Il suo relatore, il professor Mollison, era un antropologo convinto della disparità tra le razze.


Il giovane medico si recò a Lipsia per compiere la sua pratica ospedaliera. Vi rimase quattro mesi. Il professor Mollison ottenne per lui un posto di ricercatore presso l'Università di Francoforte all'Istituto del Reich per la Biologia ereditaria e l'igiene della razza. Qui Josef Mengele conobbe il professor Ottmar von Verschuer, genetista e studioso della biologia dei gemelli. Con Verschuer Mengele conseguì il suo dottorato con una tesi intitolata "Ricerche sistematiche in ceppi familiari affetti da cheiloschisi o da fenditure mascellari o palatali". Il 1° gennaio 1939 Mengele chiese l'autorizzazione formale all'Ufficio Centrale per la razza e gli insediamenti umani per poter sposare Irene Schoenbein. La licenza venne concessa con una certa fatica. Mengele, che appartiene alle SS, non può dimostrare di appartenere ad una famiglia ariana sin dal 1750 e Irene ha qualche difficoltà mancandole i documenti razziali del nonno americano Harry Lyons Dummer. Alla fine l'Ufficio diede il suo benestare e la coppia poté celebrare le nozze. Il matrimonio fu interrotto il 1° settembre 1939 dallo scoppio della guerra. Mengele si presentò volontario e venne inviato dapprima ad un ispettorato sanitario delle Waffen-SS e poi all'Ufficio di Poznan (Posen) per la razza e gli insediamenti umani. Qui dal 1940 al gennaio 1942 il giovane Mengele si occupò di esaminare le "qualità razziali" dei coloni tedeschi che desideravano popolare le terre dell'Est strappate all'Unione Sovietica.

Mengele interroga una coppia di anziani per accertare le loro origini razziali.

Questo compito noioso di selezione terminò il 1° gennaio 1942: Mengele venne aggregato come medico militare alla 5a Divisione SS "Wiking" e spedito sul fronte orientale. L'esperienza di guerra durò pochi mesi: nell'estate del 1942 venne leggermente ferito, decorato con la Croce di Ferro di Prima Classe e promosso Hauptsturmführer delle SS, venne ritenuto inidoneo alla prima linea. Rimpatriato venne impiegato a Berlino all'Ufficio Centrale per la razza e gli insediamenti umani. Contemporaneamente il suo maestro Verschuer era arrivato a Berlino per dirigere il Dipartimento di Antropologia e Genetica del prestigioso "Kaiser Wilhelm Institut". I due si rincontrarono e il professor Verschuer propose al suo allievo di unirsi a lui per proseguire gli studi sulla biologia dei gemelli. Vi erano enormi possibilità di indagine date dal concentramento ad Auschwitz di centinaia di migliaia di soggetti subumani da studiare. Una occasione irripetibile per la scienza e per la carriera accademica di Mengele. Il 30 maggio 1943 Josef Mengele si presentava ad Auschwitz per prendervi servizio.

Ad Auschwitz Mengele per prima cosa si circondò di una équipe di medici prigionieri che lo aiutassero nel suo lavoro. Scovò nel campo circa 15 dottori provenienti da tutta Europa, infermieri professionali ed una disegnatrice con il compito di fare ritratti dei pazienti. Il primo obiettivo consisteva nello studio dei gemelli. Mengele eseguì ogni sorta di sperimentazione e di misurazione, tentò trasfusioni incrociate, cercò di cambiare il colore degli occhi delle sue vittime, studiò il "Noma" una malattia dovuta alla profonda denutrizione. Collezionò gemelli arrivando a studiare e a torturare sino alla morte 3.000 persone per lo più bambini e adolescenti. Aveva organizzato ad Auschwitz un vero e proprio centro studi, una parodia di un istituto scientifico tedesco: i medici prigionieri erano costretti ad ascoltare le sue conferenze. Il 1° settembre 1944 li intrattenne con una giornata di studio che intitolò "Esempi di analisi antropologica e di ereditarietà genetica effettuati nel campo di concentramento di Auschwitz".

Mengele ad Auschwitz.

Mengele inviava al suo maestro Verschuer gli occhi, gli organi interni, le ossa, il sangue dei gemelli affinché gli studi venissero approfonditi. Il 17 gennaio 1945 Mengele abbandonò Auschwitz portandosi dietro il materiale raccolto. Si presentò al campo di concentramento di Gross-Rosen dove per un breve periodo aiutò negli esperimenti batteriologici compiuti su prigionieri russi. Anche da Gross-Rosen fuggì prima che vi arrivassero i russi.

Il 2 maggio 1945 quando la Germania capitolava Mengele - che si era tolto la divisa delle SS - si aggregò ad un ospedale da campo in fuga dai russi. Qui Mengele ebbe una relazione con un'infermiera alla quale affidò i suoi documenti di Auschwitz affinché li facesse arrivare a Günzburg. Pochi giorni dopo l'intero ospedale veniva catturato dagli americani presso Weiden. Mengele venne registrato con il suo vero nome ma nessuno si curò di lui: solo verso la fine del 1945 venne spiccato il primo ordine di ricerca per crimini di guerra. Mengele assunse una nuova identità con documenti falsificati: il 30 ottobre 1945 con il nome di Fritz Hollmann abbandonava il campo di prigionia. Trovò lavoro come bracciante in una fattoria di Mangalding vicino Rosenheim in Baviera. Qui rimase tre anni e nell'ottobre 1948 chiese alla famiglia che l'aiutasse ad espatriare in Sud America.

Mengele probabilmente nel 1956.

La caccia a Mengele iniziò soltanto nel 1959, fu un ex internato di Auschwitz, il dottor Hermann Langbein che diede inizio alle ricerche. Il 5 giugno 1959 la magistratura tedesca si decise ad emettere un mandato di cattura contro Mengele. Le tracce che Mengele aveva lasciato erano divenute numerose: nel 1958 aveva subito un arresto poiché era risultato coinvolto in un giro di aborti clandestini. Nel maggio 1959 da Buenos Aires Mengele si spostò in Paraguay ottenendone la cittadinanza il 27 novembre 1959. Soltanto nel 1961, quando i servizi segreti israeliani rapirono Eichmann che aveva trovato rifugio in Argentina, il nome di Mengele tornò alla ribalta.

Mengele si spostò di nuovo, questa volta in Brasile rifugiandosi presso una coppia di esuli tedeschi in una fattoria a 200 chilometri da Sao Paulo. Aveva assunto una nuova identità: Peter Horbichler. Poi le sue tracce scomparvero nuovamente. Soltanto nel 1974 Mengele "riemerse", si faceva chiamare ora Wolfgang Gerhard. Si era trasferito a Sao Paulo in un quartiere modesto, al numero 5555 di via Alvarenga. Manteneva contatti con una coppia tedesca: i Bossert e, all'apparenza, viveva in ristrettezze economiche.

Mengele con il figlio Rolf.

Nel 1977 il figlio Rolf volò in Brasile per incontrare il padre. Pur non condividendo gli ideali nazisti del padre Rolf si guardò bene dal denunciarlo alle Autorità. Due anni dopo, il 7 febbraio 1979, durante una gita insieme ai Bossert Mengele venne colto da infarto e morì. I Bossert fecero seppellire Mengele sotto l'ultimo falso nome di Wolfgang Gerhard. Il segreto della morte di Mengele venne mantenuto dalla famiglia per sei anni. Soltanto nel 1985 il fedele procuratore dei Mengele Sedlmeier si confidò con una persona che riferì alla polizia ciò che aveva saputo. Il 6 giugno 1985 la salma di Mengele venne riesumata. Una commissione di esperti, anche attraverso i test del DNA, stabilì che i resti trovati erano effettivamente quelli di Josef Mengele. La caccia era terminata, Mengele non poté essere giudicato da un tribunale per i suoi crimini spaventosi.

lunedì 26 gennaio 2009

venerdì 23 gennaio 2009

Fuga con ritorno.

Oggi torno a correre, dopo un infortunio stupidamente trascurato che mi ha fermata per più di un mese. Torno a correre con la consapevolezza di farlo per me stessa, per come mi sento mentre i miei passi si rincorrono sull'asfalto. Perchè "correre via" mi piace da impazzire. Mi fa stare bene. Mi da la forza per tornare, ritrovare gli affanni di tutti i giorni e affrontarli senza fiatone. Mi regala, allo stesso tempo, l'illusione liberatoria della fuga e l'orgoglio di saper resistere a quella tentazione.

Un padre ha voluto regalare al figlio quella stessa illusione, correndo con lui l'Ironman: 4 km a nuoto, 180 km in bicicletta e 42 km di corsa a piedi.




La verità, alla fine, è che io non ho niente da cui fuggire. Ed è proprio correndo e pensando a loro che me ne rendo conto.


martedì 20 gennaio 2009

Buona fortuna Joss!


La prima volta che ti ho visto te ne stavi dentro ad una gabbia come tante, la numero 16. Insieme a te e come te, altri 3 mucchietti di pelo dall'aria dolce, ma con uno sguardo stanco e disilluso. Mi è bastato un attimo per capire che eri proprio tu che volevo. Scodinzolavi, camminavi freneticamente avanti e indietro, abbassavi le orecchie e spalancavi gli occhi come a dire: "prendimi". Al canile municipale di Imola ci sono tanti occhi così e dicono tutti esattamente la stessa cosa. Ma tu per me, dopo un solo istante, eri già diverso. Tante volte mi ero immaginata il momento in cui avrei potuto scegliere un cane, ma non credevo avrei provato un'emozione così forte. Non sai perchè, ma d'improvviso senti che tu e quel quattro zampe lì davanti avete qualcosa in comune, potete regalarvi vicendevolmente tutto l'affetto e tutta la tenerezza di questo mondo.


L'adozione a distanza consiste nella possibilità offerta agli amanti dei cani di prenderne in affidamento uno - o anche più - dal canile. Non si diventa padroni del cane, ma lo si può andare a trovare negli orari di apertura al pubblico, portarlo a spasso, tenerlo con sè per un week-end, riempirlo di tutte quelle coccole che solo il "miglior amico uomo" (quando questo non diventa il nemico che sempre più spesso lo abbandona in mezzo ad una strada prima di partire per le vacanze d'agosto) può donargli. L'adozione a distanza non costa praticamente nulla, solo 50 euro annuali per ogni cane adottato. Questa piccola ma importante somma, che cresce all'aumentare del numero delle adozioni, viene utilizzata dal canile per far fronte alle spese veterinarie di cui necessitano tutti i 4 zampe ospitati dalla struttura.

Sabato scorso un'operatrice del canile mi ha comunicato che qualcuno ti aveva "prenotato". Quando me l'ha detto sono rimasta come un'ebete immobile davanti al cancello del canile. Lei mi spiegava che si era già proceduto al controllo dell'appartamento in cui saresti andato a vivere, che si trattava di ragazzi giovani, che avrei avuto 10 giorni di tempo per pensarci su: se potevo portarti a casa okay, altrimenti - come da regolamento dell'adozione a distanza - saresti andato via con loro. Ci ho messo qualche minuto per realizzare, poi ho pianto con tanto di singhiozzi a raffica. Ci ho messo qualche ora, invece, per capire che in fondo era giusto così.. che dovevo mettere da parte quel pizzico di egoismo che gridava: "Joss resta con me" per pensare solo ed esclusivamente al tuo bene. Avevo paura - e ce l'ho tuttora, benchè molte persone mi abbiano tranquillizzato in proposito - che tu ti saresti scordato di me, di noi. Di tutte le volte che sono venuta a prenderti e tu, ogni sacrosanta volta, mi accoglievi saltellando e scodinzolando. Non importava quanto tempo fosse trascorso dalla visita precedente, non mi hai mai dimostrato rancore. E temevo che potessi dimenticarti delle vaschette stracolme di pasta fumante, condita con quelle prelibatezze che il menu del canile non prevedeva: salsiccia, prosciutto, wurstel.. Oppure delle volte in cui ti caricavamo nel baule della Punto e ti portavamo a spasso al parco e tu, là dietro, ad ogni curva perdevi l'equilibrio. O di quando ti insegnavamo il "seduto" e il "terra" e tu, in confusione totale, passavi freneticamente dalla posa seduta a quella accucciata, come un musulmano che si inchina ripetutamente rivolto alla Mecca (di qui l'invenzione di un nuovo comando per cani: "allah"). Avevo paura che avresti interpretato il tutto come un abbandono, l'ennesimo abbandono.

Oggi ci siamo salutati, ho passato il guinzaglio nelle mani dei tuoi nuovi padroni e ti ho visto andare via con loro. Sono sicura che farai il bravo, che ti farai voler bene dal profondo del cuore e che sarai ricoperto da tanto di quell'amore che presto dimenticherai i 3 anni e mezzo trascorsi al canile. Ti chiedo solo di non dimenticarti di me e se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa.. se per qualsiasi motivo dovessi fare ritorno dai tuoi amici a 4 zampe, io sarò qui, pronta a spalancarti di nuovo le braccia e ad avvolgerti in un caldo abbraccio.

lunedì 19 gennaio 2009

Borsellino: omicidio di Stato?

Questo video si conclude con una frase ben precisa: "PASSATE PAROLA".

E' stato pubblicato oggi sul blog di Beppe Grillo e dura 27 minuti circa.

Mi rendo conto che non tutti hanno il tempo materiale o la voglia (ma quest'ultima andrebbe trovata, se si vuole far propria un pizzico di sana informazione in più rispetto a quella propinataci dalla televisione o dai giornali italiani) per guardarlo interamente, ma sono convinta che ne valga la pena. E ne sono veramente così convinta, che il 30 Gennaio sarò tra i primi ad acquistare la rivista Micromega per leggere il fascicoletto ad essa allegato e curato da Marco Travaglio.

Io passo parola, voi perlomeno acchiappatela.

domenica 18 gennaio 2009

Facciamo che

Facciamo che io adesso
mi sistemo bella comoda sul letto
e voi venite tutti qua
e mi abbracciate forte forte?

venerdì 16 gennaio 2009

Ho dipinto la pace.


Avevo una scatola di colori brillanti, decisi, vivi.

Avevo una scatola di colori, alcuni caldi, altri molto freddi.

Non avevo il rosso per il sangue dei feriti.

Non avevo il nero per il pianto degli orfani.

Non avevo il bianco per le mani e il volto dei morti.

Non avevo il giallo per la sabbia ardente,

ma avevo l'arancio per la gioia della vita,

e il verde per i germogli e i nidi,

e il celeste dei chiari cieli splendenti,

e il rosa per i sogni e il riposo.

Mi sono seduta e ho dipinto la pace.


T.Sorek

mercoledì 14 gennaio 2009

Con te che sei...

Oggi sono uscita.
Nonostante il naso ancora chiuso e la gola dolorante.
Sono andata in posta a spedire tramite raccomandata un articolo, il mio articolo. Tratta dell'argomento della mia tesi e il prof che mi ha fatto da relatore tra qualche giorno lo leggerà e deciderà se aiutarmi a pubblicarlo su una rivista locale. Sono contenta.
Poi, forse proprio a suggello di questa mia contentezza, sono risalita in macchina e dall'ufficio postale sono andata in centro. Ho parcheggiato, sono scesa dall'auto e sono andata dove l'istinto mi diceva di andare.
Handicraft è un minuscolo negozietto che si trova in Piazza delle Erbe, a Imola. Vende prodotti di legatoria e cartotecnica realizzati dai Giovani Rilegatori, una cooperativa sociale nella quale lavorano piccole famiglie e ragazzi portatori di handicap. Se non sai della sua esistenza, rischi di non vederlo, per quant'è piccolo. Appena entri ti accoglie il profumo della carta e del cartoncino e i tuoi occhi già iniziano a sfogliare i vari diari, libri di bordo, ricettari e portafoto che si accalcano sugli scaffali. Ci sono mille colori e mille formati, e io oggi ho comprato una scatola bella grande, graziosamente decorata e recante la scritta, in caratteri antichi:
"Live Well, Love Much, Laugh Often".
Ci metterò dentro un bel po' di ricordi, perchè la mia stanza non finisco mai di sistemarla e ogni giorno vorrei darle un ordine nuovo, diverso.. salvo poi ritrovarmi sempre e comunque immersa nella mia immancabile, tremenda confusione.
Ho comprato anche un'altra cosa, si chiama "libro dei pensieri notturni". In sostanza è una sorta di diario, con l'unica particolarità che in alto, su ogni pagina, sono disegnati dei bimbetti (che siano angeli?) in camicia da notte appollaiati su nuvole paffute. Credo ci scriverò molto, su questo libro dei pensieri notturni. E' tanto che non tengo un diario.
Poi, mentre tornavo alla macchina, vedo in lontananza un anziano che cade per terra. Alcune persone accorrono. Un auto si ferma e ne scende una bellissima signora dai capelli bianchi. Il vecchietto è in imbarazzo, proprio non riesce a capire come abbia fatto a cadere dalla bicicletta. "Ha perso l'equilibrio, capita!", lo rassicura la signora porgendogli il berretto finito sul cemento del marciapiede. Gli sorride e in quel sorriso c'è una dolcezza disarmante. Lui prende la bici e si allontana maledicendo la vecchiaia.
Guido verso casa, nel lettore-cd "Un po' di Zucchero", album del 1983. Non ero ancora nata. Canto a squarciagola il ritornello di Fuoco Nel Mattino, sono parole semplici, potrebbero sembrare banali, ma non lo sono.. non per me.
Peccato soltanto che io non abbia gli occhi chiari.

sabato 10 gennaio 2009

martedì 6 gennaio 2009

Ne è passato di tempo, eh?

Quando Spippy sapeva ancora scrivere e quando, scrivendo, partoriva fogli svolazzanti di questo tipo. E Spippy, allora, aveva solo (o già) 18 anni.

4 Agosto 2004
h. 00.11


Ne è passato di tempo, eh dado?! E io ancora qua, oggi, di nuovo con il coraggio di scrivere. Coraggio che ho trovato proprio solo ora perchè fino a poco più di 2 ore fa non avrei aperto questo quaderno per tutto l'oro del mondo. Era l'impatto con un passato ancora troppo vicino, vivo, profumato, a spaventarmi. Passato datato 20 luglio scorso, che non è un'eternità ma ci assomiglia molto e soprattutto viene prima. Prima della vacanza (che non si può chiamare solo vacanza, quella è stata un salto in paradiso) e, ahimè, prima del rientro, il ritorno alla normalità, 5 giorni fa. Se la gente, chiunque, mi chiede come sono stata, mi chiede di raccontare, vuole sapere, io non so rispondere. Me la cavo sempre con un "non ci sono parole, davvero, non insistere, qualsiasi cosa io possa dire di questa settimana la sminuirebbe e basta. Non voglio, è perfetta così com'è, lì dove sta." E la gente guarda allibita, oppure sorride, magari qualcuno di quelli che non sono venuti pensa che si tratti di maliziosa finzione. Non mi interessa. Il bello è, o forse il bello-assurdo è che non ho mai smesso di pensarla così, neanche dopo venerdì sera, neanche mentre singhiozzavo sotto il sole appoggiata al muretto di Centro Vacanze sabato mattina, neanche mentre ascolto The Sound Of Silence, canzone malinconica all'inverosimile. Anzi, più stavo male all'idea di poterti perdere per sempre, più la nostra settimana mi appariva lontana e quindi sfumata, come solo le cose più preziose sanno essere. Perchè tutto il bello che c'era stato non poteva finire così, limitarsi alla Toscana, agli spazi stretti e scomodi del nostro camper 6 posti, alle piazzole striminzite dei campeggi o al termine ultimo fissato da una data, il 30, e da un orario, le 10 di mattina, indiscutibili. Era proprio questo che mi faceva impazzire: l'essere passati dalle stelle alle stalle nel giro di un'ora, non avere più certezze. Come svegliarsi da un sogno. E non capacitarsi che si era trattato proprio solo di quello, un sogno.
Anche ora fatico a scrivere, perchè tutte queste parole, frasi e virgole non descrivono come vorrei, non danno la forma che vorrei dare alle emozioni, alle cose, ai silenzi tra noi in riva al mare, al passarti un'abicocca e sentirti brontolare perchè poco matura, all'accompagnarti all'autogrill per un caffè e allo stare sveglia con te per il viaggio di ritorno e come sottofondo l'alba di un'estate già troppo avanzata. Sono più o meno queste e mille altre ancora le cose che non dimenticherò, quell'intesa sottile ma forte che ho sentito e che sento quando, finito di parlare, mi volto e tu ci sei, lì di fianco a me. E' in nome di quell'essere semplicemente e splendidamente sè stessi che io parlo di un'altra alba magari sulle Dolomiti o di altre ciliegie o di altri pulcini da vedere. E' in nome di quando mi hai sollevato per i fianchi, a casa di tua nonna, venerdì mattina, e io ho riso.. ed è ancora in nome delle mie figure barbine col ghiacciolo alla pesca o la canoa a 4 posti o dei tuoi rumori che io ho pianto pensandoti fuori dalla mia vita.
Mi sfogo ora, su questa carta, perchè prima ci siamo visti e mi hai detto che ci sentiremo e vedremo ancora e allora basta, io sono già felice, non chiedevo di più se non noi, proprio come sempre. E prima non avevo nemmeno il coraggio di finire il rullino delle foto per paura di ritrovarmi in lacrime nel guardarle, di ascoltare certe canzoni o toccare oggetti che se ne sono stati nella valigia che avevo con me. Domani le foto ci saranno e domani, come tutti i domani della mia vita, voglio che ci sia anche tu.


Voglio riprendere in mano una biro e un foglio. Voglio vedere cosa salterà fuori.


venerdì 2 gennaio 2009

Mi è venuto un pensiero, scrivo quello perchè adesso di scrivere altro non ho voglia.

Io il 2009 lo comincerei facendo l'amore con questa in sottofondo




e lo continuerei così attraverso tutte e quattro le stagioni.


Buon anno a tutti, vi abbraccio virtualmente.