sabato 9 agosto 2008

Io me ne vado tra le rose.

Narra una leggenda che fra i massicci rocciosi del Catinaccio ci fosse un immenso giardino di rose (da cui il corrispettivo nome tedesco, Rosengarten), governato da Re Laurino.
Re Laurino a sua volta regnava su un popolo di nani che scavava nelle viscere della montagna alla ricerca di cristalli, argento ed oro e possedeva altresì due armi magiche: una cintura che gli forniva una forza pari a quella di dodici uomini ed una cappa che lo rendeva invisibile. Un giorno il re dell'Adige decise di sposare la bella fanciulla Similde. Per questo motivo invitò tutti i nobili del regno ad una gita di maggio, tutti tranne Re Laurino. Ma questo decise di partecipare comunque, come ospite invisibile. Quando Laurino sul campo del torneo cavalleresco vide Similde, colpito dalla sua stupenda bellezza, se ne innamorò perdutamente e decise di rapirla e di portarla con sè. Hartwig, il promesso sposo della principessa, chiese aiuto al re dei Goti ed assieme ai suoi guerrieri salì sul Catinaccio. Re Laurino allora indossò la cintura, che gli dava la forza di dodici uomini e si gettò nella lotta. Quando si rese conto che nonostante tutto stava per soccombere, indossò la cappa e si mise a saltellare qua e là nel giardino, convinto di non essere visto. Ma i cavalieri riuscirono ad individuarlo osservando il movimento delle rose sotto le quali Laurino cercava di nascondersi. Lo afferrarono, tagliarono la cintura magica e lo imprigionarono. Laurino, irritato per il destino avverso, si girò verso il Rosengarten, che lo aveva tradito e gli lanciò una maledizione: nè di giorno, nè di notte alcun occhio umano avrebbe potuto più ammirarlo. Laurino però dimenticò il tramonto e così da allora
accade che il Catinaccio, sia al tramonto sia all'alba, si colori tingendosi di un magnifico rosa...



mercoledì 6 agosto 2008

Un ricordo.


La mia tesi parlerà della Resistenza partigiana nella zona di Imola. E allora in questi giorni sto leggendo un mucchio di libri sul tema, alcuni sulla Resistenza in tutta Italia, altri sulla Resistenza nella regione Emilia-Romagna. Per farmi un'idea generale, prima di entrare nello specifico di queste mie colline qua. E allora tra questi libri c'è quello che sto leggendo proprio adesso, che è particolarmente bello ed emozionante, perchè quasi interamente basato su testimonianze orali di gente comune e di partigiani, di abitanti delle pianure o delle montagne e di combattenti che in quelle pianure e in quelle montagne si nascondevano e lottavano. Uno dei capitoli si intitola "La mutata quotidianità fra Marzabotto e Monzuno". Senza tanti fronzoli di contorno, ne voglio riportare qualche estratto e, in particolare, voglio trascrivere la testimonianza di Luisa Pellicciari, che all'epoca dei fatti narrati era solo una bambina.


"Si può dire che sia stata la situazione di emergenza ad innescare meccanismi capaci di trasformare e sgretolare le forme di una consolidata socialità. Il lento scorrimento della vita quotidiana con le feste e le tradizioni cadenzate in un tempo quasi immobile, subisce una traumatica lacerazione con l'occupazione subìta. Alcune piccole frazioni quasi scompaiono e ciò che rimane non è più come prima.
La perdita delle feste è il primo segnale di un'emergenza che lascerà effetti duraturi e la pace non potrà più ripristinare gli equilibri perduti. Le feste nelle zone rurali sono innanzitutto riti che sanciscono o confermano l'unione della comunità, ma nel conflitto che si sta sviluppando l'unione della comunità è minacciata, per quanto non si trovino che sparuti segnali della presenza di fascisti repubblicani in queste frazioni.
Durante la guerra non esiste festa e non esiste tregua. Il primo bombardamento del martoriato Vado, sul quale si possono contare 23 incursioni aeree, avviene il 18 maggio 1944, festa dell'ascensione. "Comparvero i vestiti nuovi (...), le donne avevano preparato i tortellini", ma il tempo molle e rilassato del giorno festivo subisce un traumatico quanto inaspettato scossone: la festa consuetudinaria diventa tragedia. Franceco Pirini aveva visto il padre avviarsi verso il paese prima del bombardamento e nel momento degli scoppi teme il peggio, difatti lo trova sulla strada colpito a morte.

(...) Anche ai bambini la guerra porta via le feste e restringe gli svaghi. Eppure l'innocente speranza fanciullesca non si stanca di immaginare, tra le macerie e gli eserciti occupanti, il ritorno della festa, pur nell'inevitabile e dolorosa presa di coscienza che le cose sono cambiate. Il brano che si riporta, tratto dalla testimonianza di Luisa Pellicciari, è un condensato di ingenuità, speranze e timori:

C'erano gli americani e avevano messo gli alberi di Natale e a tutti i bimbi avevano fatto i doni. E allora chiesero a mamma perchè non avevamo fatto i doni di Natale e allora mia mamma spiegò che per noi in Italia c'era la Befana a portare i doni. E gli raccontò insomma di questa vecchietta. La mamma mi aveva detto: - Guarda la Befana non può venire quest'anno perchè ha paura di volare in cielo. Capito? Ci sono i bombardamenti, gli aeroplani, come vuoi che faccia questa vecchietta, poverina che è a cavallo di una scopa. -
Allora io mi ero rassegnata a questa festa che sarebbe stata senza la Befana. Un giorno un soldato mi vede un po' triste, così, e allora mi chiede: Perchè sei triste? - Perchè non viene la Befana - (...) Questo soldato sparisce e dopo qualche giorno arriva con un baule di roba c'era cioccolato, cioccolatini, mandarini, le caramelle, le arance, tutte quelle cose che si usavano mettere nella calza, i colori e perfino una bottiglina di vinsanto. (...)
Il mattino della Befana io mi svegliai, ero una bimba sempre speranzosa che questa Befana fosse arrivata e dicevo - Però i bombardamenti si sono calmati, può darsi che arrivi.- E la mamma diceva: - Ma, spera. metti ben due o tre paia di calze, proviamo.
Allora io mi ricordo che misi tre calzettoni appesi in cantina che c'erano i chiodi per appendere i salami. (...) Alla mattina erano tutti pieni. Io non... c'è la felicità di una bambina, io penso che non ho mai provato una felicità come quel momento lì, perchè non aspettare niente e alla mattina trovarle queste calze piene di ogni ben di Dio. (...) Pensavo a uno scherzo e andai subito a controllare le mie vecchie cioccolate, erano intatte. (...) Questo soldato americano aveva fatto la felicità di una bambina. - Da me è arrivata la Befana - dicevo agli altri bambini.
- Ma come da noi non è arrivato niente. -
- Si vede che da me ci sono i soldati in casa e la Befana non ha avuto paura. -"

lunedì 4 agosto 2008

Io.


Io che da piccola mi sono sempre mangiata le unghie e ho smesso solo da pochissimo tempo.
Io che non ho mai amato nulla del mio corpo, eccezion fatta per il naso a patatina.
Io che, nonostante questo, ho sempre detto non mi sarei mai e poi mai ritoccata o rifatta un bel niente.
Io che oggi, mentre correvo, mi sono guardata le mani e ho visto queste unghie belle, perfette, ricostruite venerdì scorso, ma che non saranno mai naturalmente mie.
Io che mi sono chiesta perchè continuo a voler essere ciò che non sono.
Io che mi sono chiesta perchè continuo a lisciarmi i capelli quando invece, se li lascio asciugare al vento, come ora, diventano ricci come li avevo da bimba.
Io che mi sono risposta che è per piacere agli altri, ma che così non arriverò mai da nessuna parte, se prima non piaccio a me stessa.
Io che odio gli stereotipi ma che tante volte maledico il mio sentirmi e comportarmi in modo strano, incomprensibile e diverso.
Io che tante volte vorrei stereotiparmi anch'io e diventare razionale e sapere sempre cosa fare e come farlo ed essere sempre sorridente e spensierata.
Io che, a chi mi chiede quale sia il mio sogno, rispondo: scrivere.
Io che sono la prima a sapere che non lo realizzerò mai.
Io che invidio la gente che si diverte in discoteca, che sa dormire fino a mezzogiorno il giorno dopo, che sa andare forte in macchina con la musica a busso. La gente che chiama tutto questo "vita", che chiama tutto questo "avere vent'anni".
Io che tutte le volte in cui corro mi chiedo sempre, ogni sacrosanta volta, da chi o da cosa sto scappando.
Io che forse dovrei soltanto mettermi davanti ad uno specchio per avere la risposta.
Io che 5 anni fa, di questi giorni, pesavo 42 chili e a non farmi sbiadire del tutto sono stati, forse, soltanto quei pochi muscoletti che la corsa mi ha regalato.
Io che oggi non so se amare o odiare queste cosce forti, non so se vergognarmi quando corro e sono tutta sudata e mi sento su un altro pianeta - minuscolo e sperduto nell'universo - rispetto alle fighe che non muovono un muscolo ma sembrano avere il mondo ai loro piedi.
Io che tra una settimana parto per le montagne e non vedo l'ora di essere in cima ad una vetta, al freddo, per sentire quel calore che quest'afa opprimente di pianura non sa darmi.
Io che la scelta universitaria..non so..è davvero mia?
Io che non parlo mai di me, che so farlo solo scrivendo ed era tanto, troppo tempo che non scrivevo così.
Io che alla gente che mi chiede come sto rispondo sempre che sto bene, che me la cavo.
Io che subito dopo chiedo a quella gente di parlarmi di lei, perchè preferisco stare ad ascoltare che raccontare.
Io che, quando il cardio-frequenzimentro mi dice di rallentare, molto spesso non obbedisco, convinta come sono che quello sforzo, rispetto ad altri già vissuti, è davvero minimo e tollerabile.
Io che prima, sotto la doccia, ho visto cadere il braccialettino che avevo al polso dall'estate del 2006.
Io che non mi ricordo il desiderio che avevo espresso allacciandolo, ma che spero tanto si realizzi comunque.

Io che so benissimo da dove vengo, ma non ho la più pallida idea di dove cazzo andare.



domenica 3 agosto 2008

Freddo ad agosto.


Freddo, sì, proprio lui.

Perchè, la verità, è che quella che sono a me non basta ancora. Non basta mai.

E si fa dura, molto dura.