lunedì 22 dicembre 2008

Una giornata per me.


Mi sono presa una giornata per me.
Per riordinare la mia stanza, che ne aveva un bisogno pazzesco. Ho sistemato libri, foto, cassetti, agende, quaderni. Ho deciso di conservare alcune cose, altre sono finite dritte nel cestino. Tra le mani mi sono capitati fogli volanti intrisi di mie vecchie parole e, quindi, di mie vecchie emozioni. Ho sfogliato le pagine della Moleskine 2009 e non ho potuto fare a meno di domandarmi come sarà, questo imminente anno venturo. Ho deciso di mettere le 2 corone di alloro una mensola più in alto rispetto a dove si trovavano prima, sentirò meno il loro profumo ma il fiocco bianco che cade giù a penzoloni mi farà sentire, forse, una dottoressa un po' più leggera. Quando ho finito ero piena di polvere fin sopra i capelli, il naso mi prudeva e mi veniva da sternutire. Neanche abitassi in una soffitta bohemien, da artista scapigliato alle prese con la sua perenne spleen baudelairiana..
O forse sì.

Mi sono presa una giornata per me.
Prima di pranzo ho fatto una doccia calda calda e anche se sapevo che mamma aveva già buttato giù gli spaghetti, sono rimasta lì, piantata sotto il getto dell'acqua, con gli occhi chiusi e la mente, almeno per cinque minuti, completamente sgombra da ogni pensiero. Che a volte basta davvero qualche goccia giù per la schiena e il profumo del bagnoschiuma addosso per tutto il corpo.


Mi sono presa una giornata per me.
Ho dato un'occhiata ad uno dei libri che dovrò studiare per il prossimo esame.. sono stata lì lì per prendere in mano la matita ed iniziare a sottolineare, ma mi sono detta no, oggi ancora no. Ho provato i miei vecchi moon-boot, che fra 4 giorni si parte ed è tantissimo tempo che non vedo la neve e so già che quando arriverò lassù spalancherò gli occhi e mi lascerò travolgere da tutto quel bianco. Babbo mi ha chiamata per farmi vedere il mini-presepio che ha fatto sulla vecchia radio giù in tavernetta.. la capanna, qualche pastore, una casetta col ponte sul ruscello, due statuine vecchissime: un pifferaio e una lavandaia. Ho voluto mettere anch'io la mia ed ho aggiunto il vecchietto che si scalda davanti al fuoco.

Mi sono presa una giornata per me.
E la giornata è ancora adesso e io sto ancora rimuginando, tritando, masticando tanti di quei pensieri che voi non potete averne un'idea. C'è il Natale, c'è la fine di un anno comunque particolare, c'è l'alloro, c'è il dvd con l'ecografia in diretta del mio nipotino che nascerà ad Aprile, c'è un 30 per una volta non mio ma che mi rende forse ancora più felice, c'è V. che mi scrive messaggi un po' tristi e vorrei abbracciarla forte per dirle che la capisco e che sono con lei..e ci sono io, le mie voglie, i miei pensieri matti, le follie che farei adesso-subito per sentirmi viva e provare quei brividi che tutti -inutile negarlo- rincorriamo e desideriamo salvo poi pentircene e sentirci un po' egoistisuperficialistronzi, c'è sempre quel cazzo di bisogno di guardarmi allo specchio e riuscire a sorridere, puntare lo sguardo dritto nel mio, starmene occhi negli occhi con me stessa e dirmi "okay, va tutto bene".

Mi sono presa una giornata per me.
Ho messo su cd che non ascoltavo da una vita, ho ballato come una matta sul letto mentre spolveravo. Sono tornata la bambina che sono sempre stata e che forse sarò per sempre. Ma che dottoressa e dottoressa. Questa bambina mi fa addirittura un po' paura.

venerdì 19 dicembre 2008

Una mela al giorno leva la dottoressa di torno...




... ma Spippy tornerà mooooooooooooooooolto presto, garantito!

mercoledì 10 dicembre 2008

11 dicembre 2008.

L’ 11 dicembre 2008 non sarò soltanto io a sedermi di fronte alla Commissione di laurea. Presenti – se non fisicamente, di certo nei miei pensieri e nel mio cuore – vi saranno altre persone che qui voglio stringere in un abbraccio tanto ideale e collettivo, quanto sentito e profondamente affettuoso. L’11 dicembre 2008 queste persone speciali conseguiranno la laurea insieme a me, perché senza di loro, e senza esagerare, non avrei mai raggiunto questo importante traguardo.
E allora grazie, grazie davvero a tutti voi.

Grazie babbo e mamma, per il vostro costante e generoso supporto, per la silenziosa ma sempre percepibile fiducia riposta in me e nelle mie possibilità. Grazie per esserci sempre stati, per esservi sempre interessati alla mia carriera scolastica e ai miei studi, da quando, alle elementari, mamma mi correggeva i temi di italiano e babbo mi aiutava a ripetere la lezione di geografia. Grazie per non avermi mai fatto mancare nulla e, anzi, per avermi donato senza riserve un amore grande ed insostituibile come il vostro.
Grazie Gabri, perché sei l’unico fratello maggiore che potrei desiderare di avere e perché se c’è una foto che non mi stancherò mai di guardare è quella appesa alla parete della mia camera, sopra al letto. Se ne sta lì, a vegliare su di me, a farmi sentire che è come se dormissimo ancora insieme, nella stessa stanza – ordinatissima dalla tua parte e perennemente “incasinata” dalla mia. Grazie per tutte le volte in cui, dopo aver saputo l’esito di un mio esame, mi hai scritto “somara” sul telefonino. Grazie per avermi dedicato un intero tema quando sono nata. Non ho mai potuto leggerlo, ma mi fido di babbo e mamma e so che ci hai messo tutto il tuo grande cuore.
Un abbraccio speciale voglio regalarlo poi a Laura.. e che bello dover allargare un po’ di più le braccia per accogliere anche Pietro, lo splendido angioletto che il prossimo Aprile arriverà tra di noi e che ameremo come solo i grandi doni della vita si possono amare.


Grazie Manu, che senza di te, lo sai, tutto questo – e molto altro – non sarebbe stato possibile. Grazie perché mi vuoi bene per quella che sono, con tutte le mie paranoie, paure ed eterne insoddisfazioni. Grazie perché hai preso le mie mani e le hai strette forte tra le tue, grazie di avermi riempito l’anima di emozioni uniche ed irripetibili, grazie per le risate, i giochi, i lunghi discorsi, i nostri viaggetti e le passeggiate sui monti. Parole troppo povere e semplici, le mie, per dirti tutto ciò che sento e che sei per me. Ma, noi lo sappiamo, a volte più che le parole sono gli occhi a parlare, con qualche lacrima di gioia o uno sguardo sorridente.. o magari a comunicare è il “bum-bum” e allora va bene anche il silenzio, per poterlo ascoltare meglio.

Grazie Elena e Antonio, che ormai pensarvi separati è quasi impossibile e d’altronde è tanto bello sapervi uniti e felici di esserlo. Grazie per i nostri “giovedì sera – serata film”, soprattutto perché il cinema diventa casa vostra e molto spesso i film che propongo hanno su di voi un effetto altamente soporifero! Grazie Elena per essere stata la migliore capo-squadriglia che potessi avere, grazie per le giornate al fiume e per le buonissime tisane nelle tue stupende tazze. Grazie Antonio per tutte le volte in cui mi prendi in giro strappandomi più di un sorriso, grazie per avermi sempre dato consigli azzeccati (e mannaggia a me quella volta in cui ho voluto fare di testa mia!!).


Grazie Paper, perché sei l’amico “più specialissimo” del mondo. Grazie per i tuoi messaggi infiniti ed incomprensibili, per i tuoi pettegolezzi sempre aggiornati, per quando mi dici che “do sempre buca” - anche se ormai non è più vero -, per avermi fatto fare un incidente in macchina (!!), per avermi fatto conoscere Manu e soprattutto perché sei un amico presente. Questo, agli occhi di una come me, non è poco.


Grazie Stefano, o Benny o Pera che dir si voglia, per gli interi pomeriggi passati a chiacchierare su Messenger senza che mi stancassi mai e senza pensare che adesso basta, devo studiare, perché non c’è niente di più bello che trovarsi in sintonia con qualcuno a cui senti di volere bene anche se lo conosci da poco tempo.


Grazie Vale, perché in te non ho trovato solamente una collega di studi ma anche e soprattutto una vera amica. E quindi grazie per aver sopportato i miei “strippi” pre-esame, ma anche quelli della vita di tutti i giorni, che stiamo davvero condividendo come se abitassimo a pochi chilometri di distanza. Grazie per le nostre “disavventure” vacanziere, per quando stavamo morendo di fame e abbiamo avvistato in lontananza il pane caldo con la scamorza fusa sopra; grazie per le nostre tintarelle invidiabili e per avermi sgridata quando non mi mettevo la crema solare; grazie per i nostri piccoli grandi segreti.


Grazie Michela, perché con te ho capito che la vera amicizia non conosce limiti di tempo né di spazio. Grazie per quei cinque meravigliosi giorni trascorsi insieme al campetto scout di Spettine e per tutte le lettere e i messaggi e le e-mail che ci siamo scambiate da una decina di anni a questa parte. Grazie per i sogni coltivati insieme, la scrittura e il giornalismo. E’ anche per questo che, in fondo in fondo, non abbandono mai la speranza di farcela.


E ancora, grazie alle colleghe del Servizio Civile – Milena, Chiarastella e Valentina – per gli indimenticabili (ed interminabili!) giorni passati insieme in biblioteca, a catalogare e visionare disastrati cortometraggi.
Un abbraccio e tante carezze speciali vanno poi ai miei amici a quattro zampe: Teo, con il suo naso costantemente piantato per terra e quelle orecchie enormi tutte da “spatuzzare”;

Joss, che mi accoglie sempre scodinzolando e saltellando, sprigionando gioia da tutti i pori.. e quanto vorrei poterlo portare a casa con me;

Bianca, la mia dolce micia, che mi ha “fatto compagnia” – dormendo sul letto o accoccolandosi sul computer – mentre studiavo ripetendo a voce alta e che forse forse avrebbe potuto darli lei gli esami, al posto mio.


Un ringraziamento particolare lo devo poi alle persone incontrate al C.I.D.R.A – Centro Imolese Documentazione Resistenza Antifascista – , che con la loro disponibilità mi hanno offerto un aiuto prezioso in tutte le fasi preparatorie dell’elaborato di tesi. Grazie a Marco, per avermi consigliato montagne di libri e fornito alcune delle foto inserite nel lavoro. Grazie a Giuliana Zanelli, che generosamente mi ha concesso “l’esclusiva” sul materiale utilizzato, trent’anni or sono, dal padre, Ezio Zanelli, per la realizzazione di un' interessante ricerca sulla storia del Pci della sezione di Osteriola. Infine grazie a Elio Gollini, che quando mi sono presentata a lui come la nipote di Nicola Andalò, mi ha rivolto un sorriso sincero, riempiendomi di gioia ed orgoglio.
Grazie al Professor Tortorelli per aver accettato di essere mio relatore e per aver mostrato interesse verso l’argomento da me scelto, proponendomi di svilupparlo ulteriormente anche in seguito al conseguimento della laurea. Grazie per la disponibilità e l’aiuto offertimi, elementi fondamentali che mi hanno permesso di svolgere al meglio il presente lavoro.

E infine grazie ai miei nonni: Gigliola, Mafalda, Mario e Nicola. A voi l’abbraccio più forte ed affettuoso, per dirvi che vi voglio bene e che non vi dimenticherò. Ma sono anche sicura che voi, da lassù, questo lo sapete bene.

venerdì 28 novembre 2008

Crisi d'astinenza.

Crisi d'astinenza.
Qualcuno faccia IMMEDIATAMENTE smettere di piovere.
No, non piovere.. d-i-l-u-v-i-a-r-e.
Ho bisogno di correre.
Non m'importa del freddo, non mi è mai importato molto delle condizioni atmosferiche.
Solo che oggi diluvia, letteralmente.
E io sono a corto di abbigliamento podistico tecnico, cosicchè se esco oggi e mi inzuppo non potrò correre domani e domani le previsioni han messo solo nuvole, soltanto nuvoloni grigio-neri che non mi fanno paura.
Devo correre.
Mi sento molto una drogata in questi momenti.
Ma ho imparato, imparato che se una coscia mi fa leggermente male, se la sento indolenzita, devo respirare profondamente e fermarmi. Avere un minimo cura di queste gambe che, volente o nolente, sono loro che mi fanno correre.
E allora oggi è brutto tempo e la coscia fa un pochino male. Oggi mi devo riposare.
Ma ho bisogno di correre.
Non mi sento drogata. Io sono drogata.
Sono poche le cose che mi fanno sentire bene e quando mi vengono a mancare vado in palla.
E rotolo, come una palla. Invece di correre, rotolo.
Ma rotolare non mi piace, che a rotolare son buoni tutti perchè non si deve fare nulla, non si fatica e non si ha la sensazione, sotto il sole o sotto le intemperie, di essere quasi quasi un pochino degli eroi.
E poi, rotolando come palle, ti cadono pure le palle. Persino a me, che non ce le ho.
Nelle mie crisi di astinenza arrivo persino a pensare che mi piacerebbe avere un tapis-roulant.
Sono una drogata.
Io odio il tapis-roulant. Non c'è niente di più brutto che correre restando fermi. Soprattutto dopo aver provato cosa si sente correndo per le strade e in mezzo ai campi.
Però un tapis-roulant, adesso, qui.. infilarmi i pantaloncini e andare..
Ma andare dove?
Droga, droga, droga.. mi fa sragionare.
Si tratta solo di aspettare.

venerdì 21 novembre 2008

Dedicato a tutti quelli che stanno scappando.

Me-di-ter-ra-ne-o: sussurrato così, sillaba per sillaba, è ancora più forte il pathos mitico del nostro mare. È nostro, questo mare, perché ne abbiamo i colori negli occhi, il profumo nella memoria, la tentazione nel cuore. La stessa tentazione di Odisseo: la dolcezza del dimenticare, la tiepida quiete del sole, la sospensione del tempo, la fuga da Penelope. Chi non ha mai provato la tenerezza di questo sussurro: Me-di-ter-ra-ne-o? Son queste cose che il film di Salvatores evoca. Il pericolo è di non accorgersene, rincorrendo - per amor di banalità - quello che sembra attuale. Mediterraneo parla di guerra, di italiani in guerra, e di fuga. Scritto due anni prima dell'uscita, appare in un clima che gli può solo nuocere. Non vediamolo come se i suoi autori - Salvatores e lo sceneggiatore Vincenzo Monteleone - avessero girato un qualunque film d'impegno sulla guerra, contro la guerra. Questo non è un film contro, per fortuna. Se lo fosse, non sarebbe il bel film che è. Mediterraneo parla di una fuga, certo: fuga da Penelope e dalla sua ovvietà. Ossia: fuga dalla seriosità degli impegnati, fuga dalla stupidaggine dei dinamici, fuga dal cinismo degli uomini-guida, fuga dalla volgarità dei profittatori in buona o in cattiva coscienza. Già in Kamikazen (1987) Salvatores aveva a cuore tutto questo. Ma qui arriva a una maturità, una misura, una profondità, una "leggerezza", un senso del racconto e dei tempi di montaggio che ne fanno davvero un autore, e non un piccolo autore. Nonostante le apparenze, sono un gruppo di amici metropolitani questi soldati che la burocrazia - imbecillità e pigrizia del potere - manda in un'isola perduta nel Mediterraneo. Sono lo stesso gruppo di amici che Salvatores ha narrato negli altri suoi film: trentenni comuni, uomini come tanti altri, in bilico tra un'utopia che sfuma e un realismo che incombe. In Mediterraneo sono meno riconoscibili, meno legati a una tipicità metropolitana. E però sono metropolitani: metropolitana è la loro utopia, come il loro linguaggio, le loro paure, i loro gesti (bravi tutti gli attori, bravissimi Diego Abatantuono e, in una difficile parte marginale, Claudio Bisio). La poetica di Salvatores è tra le poche che, in Italia, non siano provinciali ed ex contadine. I suoi valori non stanno nel passato. I suoi personaggi non vogliono recuperare nulla del ruralismo che il paese si è lasciato alle spalle. D'altra parte, non condividono gli entusiasmi fessi di chi scambia il folclore metropolitano per cultura metropolitana, di chi ha fatto dello yuppismo un'ideologia. La loro utopia, anzi, è che sia possibile essere metropolitani senza soccombere all'apologia imbecille del successo, all'immoralità del carrierismo. Questo gruppo di amici, di gente comune, viene sbalzato ai confini estremi dell'ovvietà e dell'appartenenza. Dell'appartenenza significa: della somma di opinioni, valori e simboli che, tutti insieme, costituiscono la cultura e l'anima di un paese. Dell'ovvietà significa: della fede scontata nel dovere di darsi da fare perché l'appartenenza funzioni. Gli si è chiesto di far la loro parte, in tutto ciò, e di farla credendoci. Ma un'isoletta greca, con la sua assolata estraneità alla Storia, incrina quella fede e suggerisce la tentazione di fuggire. Uno dei meriti, e non il minore, di Mediterraneo è di raccontare questa tentazione senza tradire la commedia: si vede d'un fiato, sorridendo e ridendo (e riconoscendosi). Salvatores e Monteleone amano i loro personaggi: non li deridono per farci ridere, non li deturpano con il folclore. Insomma, la loro è una commedia, ma non è «all'italiana» e neppure «italiana». Sono coerenti: negano in questo modo la loro "ovvia appartenenza" a un cinema che si distingue per il disprezzo di sempre nei confronti delle storie comuni della gente comune; a un cinema colmo di servi buffi e di villani, di caricature ruralistiche. Rispettando questi uomini comuni, dunque, gli autori ne seguono i diversi modi di reagire alla tentazione della fuga. C'è chi, per tornare dalla sua Penelope, rema su una barchetta fino a Cipro. Ci sono altri che, in felice incoscienza, assaporano il sole, come in una vacanza. Tornano, questi. Tornano a fare il loro "dovere", ancora una volta tra le braccia dell'ovvietà. E c'è anche chi davvero diserta, nascosto in una botte di olive.

Altri, invecchiati, riprenderanno una nave verso l'isola: anche loro in fuga, alla fine, dalla seriosità degli impegnati, dalla stupidaggine dei dinamici, dal cinismo degli uomini-guida, dalla volgarità al cinismo. Ci si specchia, forse, nella loro onesta rabbia triste, sullo sfondo mitico-azzurro del mare di Odisseo. D'altra parte, per girare un film come Mediterraneo per sentire questa onesta rabbia triste, occorre sognarla, la fuga, e avere il coraggio di non praticarla.


venerdì 14 novembre 2008

Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto...

..ed io avrò cura di te..

io sì, che avrò cura di te.

martedì 11 novembre 2008

La stanza era quasi al buio.


La stanza era quasi al buio. Mi ci addentrai per qualche passo, cercando di aguzzare la vista. A quel punto sentii che la porta si chiudeva alle mie spalle e, quando mi voltai, la bambina era sparita. Sentii scattare il meccanismo della serratura e seppi di essere chiuso dentro. Per un minuto rimasi lì, immobile. Lentamente gli occhi si abituarono alla penombra e i contorni della stanza si materializzarono intorno a me. Le pareti erano ricoperte di tela nera dal pavimento al soffitto. Su un lato si indovinava una serie di strani aggeggi che non avevo mai visto e che non fui in grado di decidere se mi paressero sinistri o tentatori. Un ampio letto circolare giaceva sotto una testiera simile a una grande ragnatela da cui pendevano due candelieri nei quali due ceri neri ardevano sprigionando quel profumo di cera che si annida nelle cappelle e nelle camere ardenti. Accanto al letto c'era una grata dal disegno sinuoso. Rabbrividii. Quel posto era identico alla camera da letto che avevo creato nella finzione per la mia ineffabile vampira Chloè e le sue avventure nei Misteri di Barcellona . C'era puzza di bruciato. Mi preparavo a cercare di forzare la porta quando mi accorsi di non essere solo. Mi fermai, raggelato. Un profilo si disegnava dietro la grata. Due occhi brillanti mi osservavano e riuscii a distinguere le dita bianche e affusolate, con lunghe unghie smaltate di nero, che spuntavano dai fori della grata. Deglutii.

"Chloè?" mormorai.

Era lei. La mia Chloè. L'operistica e insuperabile femme fatale dei miei racconti, in carne e lingerie. Aveva la pelle più candida che avessi mai visto, e i capelli neri e lucidi tagliati ad angolo retto le incorniciavano il viso. Le labbra sembravano dipinte di sangue fresco e nere aure d'ombra le circondavano gli occhi verdi. Aveva movenze feline, come se quel corpo attillato in un corsetto rilucente come squame fosse d'acqua e avesse imparato a prendersi gioco della gravità. La gola slanciata ed interminabile era circondata da un nastro di velluto scarlatto dal quale pendeva un crocifisso rovesciato. La osservai avvicinarsi lentamente, incapace perfino di respirare, gli occhi inchiodati a quelle gambe disegnate con tratto impossibile dentro calze di seta che probabilmente costavano più di quanto io guadagnassi in un anno e sostenute da scarpe a punta annodate alle caviglie con nastri di seta. In vita mia non avevo mai visto niente di così bello, nè di così terribile.

Mi lasciai condurre da quella creatura fino al letto, dove caddi, letteralmente, di culo. La luce delle candele accarezzava il profilo del suo corpo. Il mio volto e le mie labbra rimasero all'altezza del suo ventre nudo e senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo facendo la baciai sotto l'ombelico e le sfiorai la pelle con la guancia. A quel punto mi ero dimenticato chi ero e dove mi trovavo. Lei si inginocchiò di fronte a me e mi prese la mano destra. Languida, come un gatto, mi leccò le dita a una a una, poi mi fissò e cominciò a spogliarmi. Volevo aiutarla, ma sorrise e allontanò le mie mani.
"Shhh."
Quando ebbe finito, si accostò al mio viso e mi leccò le labbra.
"Adesso tu. Spogliami. Piano. Molto piano."
Seppi allora di essere sopravvissuto a un'infanzia malaticcia e spiacevole solo per vivere quei secondi. La spogliai lentamente, sfogliandole la pelle finchè le restarono solo il nastro di velluto intorno alla gola e quelle calze nere del cui ricordo tanti poveracci come me avrebbero potuto vivere cent'anni.

"Accarezzami"mi sussurrò all'orecchio. "Gioca con me."

Accarezzai e baciai ogni centimetro della sua pelle come se volessi memorizzarlo per tutta la vita. Chloè non aveva fretta e rispondeva al tocco delle mie mani e delle mie labbra con leggeri gemiti che mi guidavano. Poi mi fece stendere sul letto e mi ricoprì con il suo corpo finchè sentii bruciare ogni poro. Le posai le mani sulla schiena e percorsi la linea miracolosa che segnava la sua colonna vertebrale. Il suo sguardo impenetrabile osservava il mio viso da pochi centimetri di distanza. Sentii che dovevo dirle qualcosa.
"Mi chiamo..."
"Shhhh."
Prima che potessi dire qualche altra stupidaggine, Chloè appoggiò le sue labbra sulle mie e, per un'ora, mi fece scomparire dal mondo. Consapevole della mia goffaggine, ma lasciandomi credere che non la notava, Chloè anticipava ogni mio movimento e guidava le mie mani lungo il suo corpo senza fretta nè pudore. Non c'era fastidio nè assenza nei suoi occhi. Si lasciava toccare e assaporare con infinita pazienza e con una tenerezza che mi fece dimenticare com'ero giunto fin lì. Quella notte, per il breve spazio di un'ora, imparai ogni piega della sua pelle come altri imparano le preghiere o le maledizioni. Più tardi, quando quasi non mi restava più fiato, Chloè mi lasciò appoggiare la testa sui suoi seni e mi accarezzò i capelli durante un lungo silenzio, fino a quando mi addormentai tra le sue braccia con la mano tra le sue cosce.
Tratto da "Il Gioco dell'Angelo"
di Carlos Ruiz Zafòn

venerdì 7 novembre 2008

Perchè, malgrado tutto, il berlusconismo trionfa.


Se il libero voto premiasse il buon governo, Silvio Berlusconi sarebbe sconfitto. Ma lui conosce il popolo e le sue debolezze. Nella sua fulminante ascesa, Silvio ha eccelso in tutto ciò che il buon governo teme e condanna , a cominciare dal carrierismo più sfrenato e dalla concorrenza senza esclusione di colpi e senza freni. Nella sua esperienza d'imprenditore ha perseguito con successo tutto ciò che ha danneggiato la modernità capitalistica fino all'attuale crisi: un aziendalismo implacabile pronto a servire la politica più avventurista pur di ricavare vantaggi, l'uso mistificatorio della pubblicità volto a moltiplicare i consumi inutili e magari dannosi, la diffusione di una cultura di massa basata sui gusti peggiori delle masse, un uso continuo dello spettacolo e del sesso nello spettacolo per addormentare le coscienze e aprire la strada all'autoritarismo morbido, alla sera tutti davanti alla tv a guardare le belle gnocche con la bottiglietta di birra a portata di mano.
Non che Silvio abbia inventato questo tipo di modernità, diciamo la società attuale o prossima ventura dei poveri sempre più poveri di conoscenze e di potere e dei ricchi sempre più ricchi di denaro e di privilegi, non diamogli colpe o responsabilità che sono un portato dei tempi, della storia; ma, insomma, lui non si è tirato indietro, il suo contributo allo sfascio lo ha dato. E allora perchè la sua popolarità cresce, perchè lo si vede già capo dello Stato, perchè il berlusconismo è o sembra trionfante?
Il sociologo francese Pierre Musso ha scritto un saggio intitolato Il Sarkoberlusconismo, in cui spiega il successo dei due come il prodotto etremo della telesocietà, della tv e di internet. I due hanno capito tra i primi che bisognava potenziare in politica i fondamenti brutali della way of life darwiniana: i più forti e spregiudicati vincono, i perdenti vengono accomunati nel disprezzo, sono tutti comunisti, tutti sessantottini. La vittoria dei primi è nell'ordine naturale delle cose come lo è la sconfitta dei secondi, gli oppositori sono contro natura. "Questi sabotatori sono normali, secondo voi?" domandano i capi vincenti ai loro seguaci. "No", rispondono gli altri a comando. Il mondo della politica per il buon governo, della dialettica, cede il campo a quello delle antitesi radicali, dei salvatori e dei demoni, dei ricchi e dei poveri. Come uscirne? Silvio ha dato una risposta, perfetta perchè irreale, da sogno: "Sposatevi un milionario".
Giorgio Bocca.
Articolo tratto da "Il Venerdì di Repubblica".

martedì 4 novembre 2008

Fuori sta piovendo forte.


Fuori sta piovendo forte, sono sdraiata sul letto a pancia in giù e scrivo. Ho provato a chiudere un po' gli occhi per dormire, ma forse l'adrenalina è ancora a livelli troppo alti per riuscire a riposare. Oppure, forse, sono troppi i pensieri che mi frullano per la testa. Inutile dire che sono al settimo cielo, che mi sento sollevata e, finalmente, più tranquilla..ma c'è di più, c'è una sensazione strana che mi accompagna da stamattina, da quando sono entrata in stazione e mi sono messa ad aspettare il treno. Ho iniziato a ricordare, a rivivere certi momenti passati ma tanto simili ai gesti di oggi..

..guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorre, sempre lo stesso, con i soliti campi appiattiti dalla nebbia..

..sentire il cellulare che vibra e sapere che è il messaggino di mamma con i tre in bocca al lupo che mi fa da quando andavo alle medie, nel giorno di un'interrogazione o di un compito in classe..

..camminare svelta sotto i portici di Via Indipendenza e di Via Irnerio e poi girare in una delle viuzze traverse (non una qualsiasi, per scaramanzia prendo sempre la stessa)..

..ritrovarmi nel cuore della zona universitaria, pensare a quanto è antica e allo stesso tempo troppo sporca e moderna..

..amarla e odiarla, come tante cose nella vita.. pensare a Imola e avere già voglia di tornare indietro..

Ma oggi ho finito gli esami e tutto questo mi è sembrato, se non completamente, comunque abbastanza diverso. Oggi ho messo un punto ad una frase iniziata 4 anni fa e credo che, allora, non avrei mai creduto di poter arrivare a questo momento con la grinta che adesso sento dentro. Quattro anni fa ero spenta e apatica, dicevo in giro di essere felice ma solo io sapevo come stavo davvero. Andare a lezione mi piaceva, ma credo che l'interesse per le materie c'entrasse fino ad un certo punto. Prendere il treno e stare lontana dalla vita di sempre, mangiare solo 2 mele nell'arco di una giornata, tornare a casa e sentirmi stanca da morire e debole ancora di più. Questa, per quasi 2 anni, è stata per me l'università. Poi pian piano sono cambiate tante cose, sono cambiata molto anch'io, suppongo. E' stato difficile, è stato faticosissimo (altro che le mie corse!) rialzare la testa e guardare avanti, in una qualche direzione. Non sono mai stata sola, ma mi ci sono sentita sempre. E adesso, davvero, non so cosa darei per tornare indietro e riaggiustare tutto.. per prendere me stessa e darmi da sola un bello scrollone, auto-impormi di aprire gli occhi e, soprattutto, insegnarmi ad accettarmi per quella che sono.

Ma poi penso che ormai è andata così, che mi dispiacerà sempre per quel lungo e sonnecchiante letargo, per le amicizie trascurate e le cose non dette, per gli esami rimandati e il guscio dietro il quale mi sono letteralmente trincerata. E penso che forse c'è davvero un sentiero che ciascuno di noi deve percorrere per arrivare in cima alla montagna e trovare un caldo ed accogliente rifugio. La salita non si fa senza sudare e a volte ci si ritrova a scivolare, perdendo terreno. Alla fine però il panorama lascia senza fiato e non si sente più niente, nè caldo, nè freddo, nè dolori muscolari, nè affanno. Solo gioia. E allora va benissimo così, perchè se quello che c'è stato, di tremendamente brutto e poi di tremendamente bello, da 4 anni a questa parte, doveva condurmi passo passo fin qui, io me lo prendo e me lo abbraccio tutto.

Oggi ho messo un punto ad una frase iniziata 4 anni fa. E' ora di girare pagina. C'è ancora un intero quaderno da scrivere.

venerdì 10 ottobre 2008

8 Ottobre 2008.

Caro Manu,
ci sono tante, troppe cose che vorrei dirti per ricordare al meglio questo giorno stupendo ed importantissimo. Poi però ci rifletto un attimo e penso che non c'è assolutamente bisogno di grandi giri di parole, perchè l'8 ottobre 2008 rimarrà comunque nel tuo cuore come ricordo indelebile. Lasciami allora aggiungere solo qualche mia piccola sensazione, soltanto qualche mia timida emozione. Lascia allora che ti dica quanto fiera ed orgogliosa sono di te, ragazzo semplice dall'anima bellissima che, lottando contro tanti ostacoli grandi e piccoli, ha infine tagliato il traguardo a testa alta. Lascia poi che ti ringrazi, per avermi voluto al tuo fianco in questi due anni meravigliosi, per avermi permesso di tenerti la mano nei momenti belli come in quelli più difficili. Lasciami suggerirti di avere più fiducia in te stesso, perchè davvero, non sai quante persone ci sono che ti vogliono bene e che credono in te; non abbandonare mai quell'aria timida e dolce che ti contraddistingue e che io adoro, ma ricordati anche che la vita, nella sua innegabile bellezza, è spesso ancora più dura per chi, come te, è di una bontà disarmante. Lasciati dire di essere forte e sappi che, per esserlo ancora di più, potrai sempre contare sul mio amore per te.

Lascia che ti sussurri: "Ti amo tato e...
... buona fortuna, ingegnere!"

Tua
Spippy.


sabato 4 ottobre 2008

A muso dritto.

Le persone, anche quelle più vicine, sono capaci di ferirti senza accorgersene nemmeno. Usano le parole come fossero fazzoletti da naso. Le prendono, le usano e le gettano via. E tu, esserino misero perchè ultra-sensibile, non riesci a non rimuginarci sopra, ad infilare la mano nel cestino e a recuperarle. Poi le guardi, le giri e le ri-giri tra le dita. E infine ti chiedi perchè. Ti domandi come possa essere così complicato capire che non tutti hanno quella stessa ironia, che non tutti sono altrettanto forti, altrettanto razionali. Ti rendi persino conto che tanti anni vissuti gomito a gomito forse non sono bastati, forse non basteranno mai. Capisci che dovresti smetterla di farti ancora paranoie, che davvero nessuno ne può più, forse tu per prima. Non ti sopporti, ancora e ancora, per questo tuo andare sempre oltre rimanendo nascosta, scrutando le persone prima di lasciarti avvicinare e rilassarti un pò. Ma ti guardi anche dentro e ripensi ai colori della montagna e a quelli del bellissimo autunno che stai vivendo. Complicato e indaffarato, ma bellissimo. Perchè hai ritrovato la tua forza, quella che avevi perso per la strada alla tenera età di 17 anni e sai che adesso niente vale più di questo.
Adesso basta, devi continuare a guardare avanti. A muso dritto.

martedì 30 settembre 2008

Ora so chi è Giuseppe Penone.

LOCATION: Dipartimento delle Arti Visive di Bologna.
GIORNO E ORA: Lunedì 29 settembre, 10.15 del mattino circa.
PROTAGONISTE: Esaminanda impanicata, Spippy, Assistente dai capelli rossi, Assistente dai capelli biondi, Altra esaminanda non meglio identificata.
CIRCOSTANZA: In attesa di essere chiamate dall'assistente.

Esaminanda impanicata: Cavolo, oggi la prof mi era sembrata girata particolarmente bene.. regalava 30 a tutt'andare, perchè diamine mi ha mandato dall'assistente?? Io ho l'esame da 10 crediti, non da 5, dovevo darlo con la prof..
Spippy: Anch'io sono nella tua stessa identica situazione, ma sono davvero così terribili queste assistenti?
Esaminanda impanicata: Quella dai capelli rossi sì, è particolarmente esigente. Mi hanno riferito certe cose sul suo conto...
Altra esaminanda non meglio identificata: Ossignore, cosa??
Esaminanda impanicata: So di gente che con lei lì l'esame ha dovuto ripeterlo anche 2 o 3 volte. E' molto giovane, è vero, e all'apparenza sembra anche tranquilla e alla mano, ma poi quando ti ci ritrovi di fronte capisci che pretende, pretende molto...
Spippy: Anch'io ho sentito dire che tra gli assistenti è quella un po' più esigente, ma non penso sia del tutto inaffrontabile.
Esaminanda impanicata: Guarda, io per sicurezza mi sono informata: so quali sono le domande che fa più di frequente, me le sono proprio segnate per bene e mi sono preparata anche le risposte.
Altra esaminanda non meglio identificata: Eh no eh, così mi metti nel panico assoluto!!
Spippy: No infatti, non facciamo del terrorismo gratuito.. io so di gente che questo esame l'ha passato avendo studiato a mala pena 10 giorni..
Esaminanda impanicata: Volete che ve le dica? Allora, quasi sempre chiede i 5 punti del manifesto Simbolista, poi il romanticismo storico, la scultura di Rodin, il futurismo.. eh sì, del futurismo sia la prof che gli assistenti vanno particolarmente fieri, vogliono saperlo alla perfezione.. E anche De Chirico e la metafisica è un argomento quotato, per questa rossa qua..
Spippy: Beh, mi sembrano domande del tutto normali, voglio dire, sono tutte inerenti ai testi che abbiamo studiato e mi sembrano pure abbastanza semplici.
Altra esaminanda non meglio identificata: Ossignore, l'assistente dai capelli rossi ha finito..tocca a me! (esce di scena)
Esaminada impanicata: Ah, dimenticavo!! La rossa va matta per l'arte povera.. presente?
Spippy (con faccia a punto interrogativo): Arte povera hai detto?
Esaminanda impanicata: Sì dai, uno degli ultimi capitoletti del libro del Barilli.. me lo sono studiato a memoria, me lo sono studiato!
Neurona di Spippy: Tu no, brava scema... e adesso??
Spippy: Ecco, allora non è che mi diresti 2 cosette in croce, tanto per ripassare un attimino?
Esaminanda impanicata: Ma sì dai, è poi facile.. dunque.. il massimo rappresentante italiano è Mario Merz.. l'arte povera si serve di materiali poveri... sostituisce i neon fluorescenti con ritrovati tecnologici...

Assistente bionda: La prossima!!!
Esaminanda impanicata (con gli occhi che le brillano di gioia): Tocca a me, corroooo!!!

Assistente rossa: La prossima!!!
Spippy e neurona (fra loro e loro) : &(8204$%aonèfw$'23nd9'w9euihbr'qoo9/t525&%£w5t !!! (serie di bestemmie)

Assistente rossa: Allora signorina, mi parli del romanticismo storico, mi differenzi il movimento italiano da quello francese e faccia tutte le considerazioni del caso.
Spippy: Il romanticismo storico bla bla bla bla bla, solo che in Italia, a causa del giogo austriaco, bla bla bla bla bla, mentre in Francia Delacroix e Gericault bla bla bla bla bla...
Assistente rossa: Molto bene. Passiamo a Courbet e al realismo.
Spippy: Con il realismo per la prima volta le classi sociali inferiori vengono rappresentate nelle loro reali condizioni di vita, bla bla bla bla.. pensiamo per esempio agli Spaccapietre di Courbet bla bla bla bla ...
Assistente rossa: Perfetto. E se dovesse farmi un paragone con i "realisti" italiani? Quali i punti di contatto e quali le differenze?
Spippy: Bla bla bla bla bla.. solo che i Macchiaioli toscani si servono del formato lungo e stretto, laddove Courbet fa scandalo proprio per la monumentalità delle sue tele bla bla bla bla bla...
Assistente rossa: Bene bene. Direi che siamo a posto. Anzi no, dimenticavo.. almeno una domanda sul '900 gliela devo fare.
Neurona di Spippy: 3'+1'5itjiqènènf jwnu4%8y6w3y329u0ub2ì4958(623270dbhyerhiòs!!!! (seconda serie di bestemmie)
Assistente rossa: Guardi, gliene faccio una secca, tanto ho visto che ha studiato. Facciamo un salto temporale enorme, veniamo proprio alle ultimissime tendenze, che tra l'altro sono anche le mie preferite.
Neurona di Spippy: 20i352'J/n%'23i2')iwì230'qmdòs,fro49i5I)U=3oi2'ì3o0?!!!! (terza serie di bestemmie)
Assistente rossa: Se io le parlo di Giuseppe Penone....
Spippy: ???
Assistente rossa: .... e le faccio pure vedere 2 delle sue opere...



Assistente rossa: Che spettacolo, vero?
Spippy: 0_o ....
Neurona: Bleeeeeeeeeeaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhh !!!
Assistente rossa: Ecco, mi dica.. cosa le viene in mente?
Neurona: S.O.S
Assistente rossa: Su su, è facile..questa è l'arte.......
Spippy: ...povera?! Ah beh sì, certo.. è evidente, materiali poveri.. è che pensavo a Mario Merz ma certo certo, queste sono indubbiamente opere di Penone!
Assistente rossa: Esatto, bravissima!!!!!
Neurona: Fiuuuuuuu...
Spippy: ... ... ... ...
Assistente rossa: Ho capito, lei è più ottocentista..
Spippy: Eeeeeeeh già!!

venerdì 26 settembre 2008

Essere artisti è un gioco da ragazzi.

Sono la prima a credere che tanto spesso i bravissimi artisti di casa nostra siano stati ingiustamente penalizzati da un confronto fuori luogo con i cari cugini francesi. Che poi, anche se non fossi stata la prima a crederlo, lo sarei diventata per forza, visto che da un mese a questa parte i libri in cui sto sbattendo la testa non fanno altro che ripetere come i nostri Macchiaioli toscani non abbiano nulla da invidiare agli Impressionisti e come i nostri Futuristi siano arrivati per conto loro a certe grandi soluzioni, senza bisogno di guardare alla coppia Picasso&Braque. Ho scoperto tante cosuccie nuove ed interessanti, ho persino imparato a guardare con occhio diverso certe opere di Boccioni che fino a ieri avevano su di me un effetto lassativo istantaneo. Ho conosciuto pittori che manco sapevo avessero messo piede sul pianeta terra, i vari Fattori, Lega, Signorini, Cecioni.. che poracci, quando ho sentito parlare di "macchia" per la prima volta, li reputavo delle povere macchiette incomprese, ignorate ed emarginate dalle grandi vicende artistiche.
Sì, sì.. nonostante l'agonia assurda (a causa del gergo incomprensibile di taluni testi) di questi 30 giorni di studio non stop e nonostante la quasi certezza che lunedì non mi ricorderò una benemerita virgola delle mille pagine su cui ho versato litri di sudore (e quintali di bestemmie), devo ammettere che la storia dell'arte è proprio bella e che mi è dispiaciuto un sacco non avere avuto fin dalle medie professori in grado di avermela fatta apprezzare.
Ma che io debba causare la definitiva morte della mia unica neurona su opere come questa, beh, scusate ma mi rifiuto categoricamente. Che sono buona anch'io di prendere due pezzi di metallo e far saltare fuori un obrobrio del genere...

venerdì 19 settembre 2008

A & P.


Amore e Psiche. Chissà, magari all'esame sarà questa l'opera d'arte che la prof mi metterà davanti al naso, aspettandosi che sappia dirne vita, morte e miracoli. Nel qual caso, già mi ci vedo, potrei raccontarle davvero un mucchio di quelle cose che vorrebbe sentirsi dire da una brava studentessa diligente. "Per il soggetto Antonio Canova si è ispirato alla favola di Apuleio, mentro lo spunto gli venne da una decorazione rinvenuta dai contemporanei scavi ercolanensi. L'opera risale al 1793 e rientra in quell'ambito particolare della produzione canoviana in cui l'artista va alla ricerca della Grazia, secondo quel concetto di grazia suggerito da Winckelmann, ovvero una grazia pura, del tutto opposta all'epidermica sensualità barocca. Una grazia squisitamente intellettuale, nella quale si ritrovano gli aspetti più leggiadri e sottilmente sensuali della realtà, i quali però, passati al vaglio della ragione, cessano di essere frammenti inerti per trasformarsi in vera Natura e Bellezza.. "


Bla bla bla.


Fosse per me, direi tutt'altre cose. Direi che questa è una delle mie opere preferite e che, guarda caso, A e P sono pure le iniziali del mio nome e cognome. Direi che i miei l'hanno vista per davvero al Louvre e che si sono stupiti, perchè pensavano fosse più grande. Io, invece, me la sono sempre immaginata così, di dimensioni contenute, raffinate, eleganti.. come raffinata e sopraffina è l'emozione che mi regala ogni volta che, sfogliando il mio librone di arte, me la ritrovo davanti e mi ci perdo per una manciata di secondi almeno. Pensando a cosa, esattamente, non lo so. Forse a quanto sia delicato quell'abbraccio, a quanto sia dolce lo sguardo di lui..assorto, sognante. E al totale, assoluto, profondo abbandono di lei in quelle braccia gentili ma forti, che sembrano dirle "io ci sono adesso, ma ci sarò anche dopo e poi per sempre". Ho anche provato ad immaginarli che volano via, insieme.. lui che sbatte le ali, si alza piano, la trascina via con sè.. il velo che cade e rimane lì, da solo, al Louvre, a coprire la loro assenza. Però mi sono anche detta che, forse, la loro forza sta proprio tutta in quell'abbraccio che ha resistito per più di 200 anni; magari, se si mettessero a scorazzare dappertutto, qualcosa potrebbe separarli e spezzare la magia che li lega. Il fatto è che quando trovi qualcuno che ti sa abbracciare in questo modo qui, non hai più bisogno di grandi giri e di grandi cose. Il mondo si apre proprio davanti ai tuoi occhi, in uno sguardo assorto e incantato come quello di un bambino che vede per la prima volta la neve cadere.


E poi, diciamocela tutta, se questi due bei figurini si mettessero sul serio a gironzolare per l'aere... io come diamine farei ad andare a Parigi a vederli???

sabato 13 settembre 2008

Zi-Etta.

Ed eccola di nuovo qua, la vostra carissima Etta.
Eccola in una prima giornata diversa dalle altre, forse per il tempo che oggi è scuro scuro, tutto imbronciato, e tira un vento fresco, che era un bel pezzo che non sentivo un'arietta così, qua a Imola. Pensavate fossi sparita come l'altra volta, vero? Beh in effetti in questo periodo di assenza vi immaginavo che venivate qua nel mio blogghettino e, non trovandomi, scossavate la testa in segno di rassegnazione. Egocentrica? Naaaaaa, solo che io vi ho pensato, dico per davvero, e allora mi faceva piacere pensare che anche voi pensavate a me.

Okay, bando alle ciance.

Io sto bene e questa, per la sottoscritta, è una condizione da prendere, incorniciare e proteggere come il più prezioso dei tesori. Neanche al Louvre esiste un sistema di allarme come quello che sto progettando io ultimamente per salvaguardare questo mio stato di benessere generale. I primissimi giorni pensavo fosse merito esclusivo della montagna, che ha sempre avuto un effetto toccasana su di me. Non che la cosa non mi basti, anzi, ma rendermi conto di essere riuscita a portare a casa una sottospecie di tavolozza con tutti i colori che solo lassù riesco a vedere.. beh, ecco, a me pare un piccolo miracolo. Perchè è una tavolozza speciale: i colori non si sono ancora seccati, sono vivi e freschi come li ho fotografati a 2000 e passa metri di altitudine. E il fatto che la sottoscritta, invece, stia letteralmente marcendo sui libri di arte non guasta assolutamente il suddetto magico idillio (a proposito di arte, ora capite la sublime metafora artistico-letteraria della tavolozza..mica pizza e fichi, voglio dire!!). Il punto è che la montagna, questa volta, è stata, a differenza di tutte le altre volte, un trampolino di lancio per un volo che adesso sto gestendo da sola.. stendendo e chiudendo le ali a seconda dei venti che incontro.. alternando la ricerca del coraggio necessario per buttarmi in picchiata, a quella della forza per risalire, sfidando la legge di gravità. Ma volo e questo è quello che conta.

Allora dico grazie. Non a me, sia chiaro. Va bene che sto facendo progressi notevoli, ma il traguardo di un'autostima diversa dallo zero è ancora molto lontano.
Dico grazie a questa estate agli sgoccioli che, comunque, porterò sempre nel cuore.

Dico grazie ai primissimi bagni al fiume in Giugno, a quelle giornate con partenza al mattino, tappa a Valsalva per due fette di pane toscano e prosciutto, sole in faccia per ore e ore, e risultato finale di pelle cioccolatosa verso sera.





Dico grazie a chi c'è stato, anche solo per una serata al cinema a sbellicarsi dalle risate oppure per una sagra di buonissimi garganelli al tartufo oppure ancora per un compleanno a sorpresa in bruschetteria.




Dico grazie a Venezia, nonostante il caldo umido e torrido di quel 28 luglio. Grazie alle sue calette e alle gondole costosissime, grazie alle panchine inesistenti che ci hanno permesso di improvvisare un indimenticabile pic-nic per terra, con contorno di piccioni (nel senso che ci giravano attorno in cerca di briciole, non che li abbiamo mangiati per contorno!!). Grazie ai luccichii sul mare al tramonto e alla facciata di S.Marco che finalmente ho potuto vedere interamente (prima o poi riuscirò anche ad entrarci, ma prima devo trovare un modo per bipassare la solita fila chilometrica).





E poi grazie alla montagna, che di cose da raccontare ce ne sarebbero troppe. Grazie ai torrenti e alle cascate d'acqua limpida e ghiacciata.. grazie alle rocce ripide e alle corde in ferro, alle quali Etta si avvinghiava per ben benino.






Grazie a certi paesaggi lunari, che non ti sembra possibile di essere in mezzo alle nuvole mentre il resto d'Italia se ne sta a boccheggiare e a farsi raccogliere col cucchiaino. Grazie a certi ghiaioni infiniti,tutti in discesa, che ti spaccano le ginocchia e ti fanno rimpiangere la salita.. ma poi incontri i soliti furboni tedeschi, con le loro inseparabili e scomode bacchettine da sci, che hanno pensato bene di fare il sentiero al contrario, tanto per facilitarsi la vita e digerire meglio il minestrone di wurstel ingurgitato al primo rifugio lungo la strada.





Grazie a loro, le panciutissime mucche che pascolano su prati di un verde stupendo e che senti in lontananza, per via di quei campanacci pesantissimi che spenzolano dai loro colli. Grazie per il loro latte fresco e genuino, che quando lo chiedi ai rifugi te lo portano in un bicchierone della Forst o in un calice di birra. Grazie per quegli enormi baffoni bianchi che ti rimangono tutt'intorno alla bocca dopo averlo bevuto.






E infine grazie, Gabri e Laura. Grazie perchè tra 8 mesi non sarò più, solamente, Etta. Sarò zi-Etta. E non sto davvero nella pelle.

sabato 9 agosto 2008

Io me ne vado tra le rose.

Narra una leggenda che fra i massicci rocciosi del Catinaccio ci fosse un immenso giardino di rose (da cui il corrispettivo nome tedesco, Rosengarten), governato da Re Laurino.
Re Laurino a sua volta regnava su un popolo di nani che scavava nelle viscere della montagna alla ricerca di cristalli, argento ed oro e possedeva altresì due armi magiche: una cintura che gli forniva una forza pari a quella di dodici uomini ed una cappa che lo rendeva invisibile. Un giorno il re dell'Adige decise di sposare la bella fanciulla Similde. Per questo motivo invitò tutti i nobili del regno ad una gita di maggio, tutti tranne Re Laurino. Ma questo decise di partecipare comunque, come ospite invisibile. Quando Laurino sul campo del torneo cavalleresco vide Similde, colpito dalla sua stupenda bellezza, se ne innamorò perdutamente e decise di rapirla e di portarla con sè. Hartwig, il promesso sposo della principessa, chiese aiuto al re dei Goti ed assieme ai suoi guerrieri salì sul Catinaccio. Re Laurino allora indossò la cintura, che gli dava la forza di dodici uomini e si gettò nella lotta. Quando si rese conto che nonostante tutto stava per soccombere, indossò la cappa e si mise a saltellare qua e là nel giardino, convinto di non essere visto. Ma i cavalieri riuscirono ad individuarlo osservando il movimento delle rose sotto le quali Laurino cercava di nascondersi. Lo afferrarono, tagliarono la cintura magica e lo imprigionarono. Laurino, irritato per il destino avverso, si girò verso il Rosengarten, che lo aveva tradito e gli lanciò una maledizione: nè di giorno, nè di notte alcun occhio umano avrebbe potuto più ammirarlo. Laurino però dimenticò il tramonto e così da allora
accade che il Catinaccio, sia al tramonto sia all'alba, si colori tingendosi di un magnifico rosa...



mercoledì 6 agosto 2008

Un ricordo.


La mia tesi parlerà della Resistenza partigiana nella zona di Imola. E allora in questi giorni sto leggendo un mucchio di libri sul tema, alcuni sulla Resistenza in tutta Italia, altri sulla Resistenza nella regione Emilia-Romagna. Per farmi un'idea generale, prima di entrare nello specifico di queste mie colline qua. E allora tra questi libri c'è quello che sto leggendo proprio adesso, che è particolarmente bello ed emozionante, perchè quasi interamente basato su testimonianze orali di gente comune e di partigiani, di abitanti delle pianure o delle montagne e di combattenti che in quelle pianure e in quelle montagne si nascondevano e lottavano. Uno dei capitoli si intitola "La mutata quotidianità fra Marzabotto e Monzuno". Senza tanti fronzoli di contorno, ne voglio riportare qualche estratto e, in particolare, voglio trascrivere la testimonianza di Luisa Pellicciari, che all'epoca dei fatti narrati era solo una bambina.


"Si può dire che sia stata la situazione di emergenza ad innescare meccanismi capaci di trasformare e sgretolare le forme di una consolidata socialità. Il lento scorrimento della vita quotidiana con le feste e le tradizioni cadenzate in un tempo quasi immobile, subisce una traumatica lacerazione con l'occupazione subìta. Alcune piccole frazioni quasi scompaiono e ciò che rimane non è più come prima.
La perdita delle feste è il primo segnale di un'emergenza che lascerà effetti duraturi e la pace non potrà più ripristinare gli equilibri perduti. Le feste nelle zone rurali sono innanzitutto riti che sanciscono o confermano l'unione della comunità, ma nel conflitto che si sta sviluppando l'unione della comunità è minacciata, per quanto non si trovino che sparuti segnali della presenza di fascisti repubblicani in queste frazioni.
Durante la guerra non esiste festa e non esiste tregua. Il primo bombardamento del martoriato Vado, sul quale si possono contare 23 incursioni aeree, avviene il 18 maggio 1944, festa dell'ascensione. "Comparvero i vestiti nuovi (...), le donne avevano preparato i tortellini", ma il tempo molle e rilassato del giorno festivo subisce un traumatico quanto inaspettato scossone: la festa consuetudinaria diventa tragedia. Franceco Pirini aveva visto il padre avviarsi verso il paese prima del bombardamento e nel momento degli scoppi teme il peggio, difatti lo trova sulla strada colpito a morte.

(...) Anche ai bambini la guerra porta via le feste e restringe gli svaghi. Eppure l'innocente speranza fanciullesca non si stanca di immaginare, tra le macerie e gli eserciti occupanti, il ritorno della festa, pur nell'inevitabile e dolorosa presa di coscienza che le cose sono cambiate. Il brano che si riporta, tratto dalla testimonianza di Luisa Pellicciari, è un condensato di ingenuità, speranze e timori:

C'erano gli americani e avevano messo gli alberi di Natale e a tutti i bimbi avevano fatto i doni. E allora chiesero a mamma perchè non avevamo fatto i doni di Natale e allora mia mamma spiegò che per noi in Italia c'era la Befana a portare i doni. E gli raccontò insomma di questa vecchietta. La mamma mi aveva detto: - Guarda la Befana non può venire quest'anno perchè ha paura di volare in cielo. Capito? Ci sono i bombardamenti, gli aeroplani, come vuoi che faccia questa vecchietta, poverina che è a cavallo di una scopa. -
Allora io mi ero rassegnata a questa festa che sarebbe stata senza la Befana. Un giorno un soldato mi vede un po' triste, così, e allora mi chiede: Perchè sei triste? - Perchè non viene la Befana - (...) Questo soldato sparisce e dopo qualche giorno arriva con un baule di roba c'era cioccolato, cioccolatini, mandarini, le caramelle, le arance, tutte quelle cose che si usavano mettere nella calza, i colori e perfino una bottiglina di vinsanto. (...)
Il mattino della Befana io mi svegliai, ero una bimba sempre speranzosa che questa Befana fosse arrivata e dicevo - Però i bombardamenti si sono calmati, può darsi che arrivi.- E la mamma diceva: - Ma, spera. metti ben due o tre paia di calze, proviamo.
Allora io mi ricordo che misi tre calzettoni appesi in cantina che c'erano i chiodi per appendere i salami. (...) Alla mattina erano tutti pieni. Io non... c'è la felicità di una bambina, io penso che non ho mai provato una felicità come quel momento lì, perchè non aspettare niente e alla mattina trovarle queste calze piene di ogni ben di Dio. (...) Pensavo a uno scherzo e andai subito a controllare le mie vecchie cioccolate, erano intatte. (...) Questo soldato americano aveva fatto la felicità di una bambina. - Da me è arrivata la Befana - dicevo agli altri bambini.
- Ma come da noi non è arrivato niente. -
- Si vede che da me ci sono i soldati in casa e la Befana non ha avuto paura. -"

lunedì 4 agosto 2008

Io.


Io che da piccola mi sono sempre mangiata le unghie e ho smesso solo da pochissimo tempo.
Io che non ho mai amato nulla del mio corpo, eccezion fatta per il naso a patatina.
Io che, nonostante questo, ho sempre detto non mi sarei mai e poi mai ritoccata o rifatta un bel niente.
Io che oggi, mentre correvo, mi sono guardata le mani e ho visto queste unghie belle, perfette, ricostruite venerdì scorso, ma che non saranno mai naturalmente mie.
Io che mi sono chiesta perchè continuo a voler essere ciò che non sono.
Io che mi sono chiesta perchè continuo a lisciarmi i capelli quando invece, se li lascio asciugare al vento, come ora, diventano ricci come li avevo da bimba.
Io che mi sono risposta che è per piacere agli altri, ma che così non arriverò mai da nessuna parte, se prima non piaccio a me stessa.
Io che odio gli stereotipi ma che tante volte maledico il mio sentirmi e comportarmi in modo strano, incomprensibile e diverso.
Io che tante volte vorrei stereotiparmi anch'io e diventare razionale e sapere sempre cosa fare e come farlo ed essere sempre sorridente e spensierata.
Io che, a chi mi chiede quale sia il mio sogno, rispondo: scrivere.
Io che sono la prima a sapere che non lo realizzerò mai.
Io che invidio la gente che si diverte in discoteca, che sa dormire fino a mezzogiorno il giorno dopo, che sa andare forte in macchina con la musica a busso. La gente che chiama tutto questo "vita", che chiama tutto questo "avere vent'anni".
Io che tutte le volte in cui corro mi chiedo sempre, ogni sacrosanta volta, da chi o da cosa sto scappando.
Io che forse dovrei soltanto mettermi davanti ad uno specchio per avere la risposta.
Io che 5 anni fa, di questi giorni, pesavo 42 chili e a non farmi sbiadire del tutto sono stati, forse, soltanto quei pochi muscoletti che la corsa mi ha regalato.
Io che oggi non so se amare o odiare queste cosce forti, non so se vergognarmi quando corro e sono tutta sudata e mi sento su un altro pianeta - minuscolo e sperduto nell'universo - rispetto alle fighe che non muovono un muscolo ma sembrano avere il mondo ai loro piedi.
Io che tra una settimana parto per le montagne e non vedo l'ora di essere in cima ad una vetta, al freddo, per sentire quel calore che quest'afa opprimente di pianura non sa darmi.
Io che la scelta universitaria..non so..è davvero mia?
Io che non parlo mai di me, che so farlo solo scrivendo ed era tanto, troppo tempo che non scrivevo così.
Io che alla gente che mi chiede come sto rispondo sempre che sto bene, che me la cavo.
Io che subito dopo chiedo a quella gente di parlarmi di lei, perchè preferisco stare ad ascoltare che raccontare.
Io che, quando il cardio-frequenzimentro mi dice di rallentare, molto spesso non obbedisco, convinta come sono che quello sforzo, rispetto ad altri già vissuti, è davvero minimo e tollerabile.
Io che prima, sotto la doccia, ho visto cadere il braccialettino che avevo al polso dall'estate del 2006.
Io che non mi ricordo il desiderio che avevo espresso allacciandolo, ma che spero tanto si realizzi comunque.

Io che so benissimo da dove vengo, ma non ho la più pallida idea di dove cazzo andare.



domenica 3 agosto 2008

Freddo ad agosto.


Freddo, sì, proprio lui.

Perchè, la verità, è che quella che sono a me non basta ancora. Non basta mai.

E si fa dura, molto dura.


martedì 29 luglio 2008

Pensieri correnti.


Certo che oh, chi l'avrebbe mai detto che esisteva una biblioteca così. Piccolina, piccolissima, con un'unica sala-studio di 10 posti soltanto, fitta di libri tutti sulla Storia e sulla Resistenza partigiana di Imola e dintorni. Chi l'avrebbe mai detto che, parlando con quel signore dai capelli bianchi, quel signore che la Resistenza l'ha vissuta sulla pelle, si sarebbe ricordato di mio nonno e avesse esclamato, entusiasta: "Nicola? Ma certo! E' stato anche segretario dell'A.n.p.i !". Venezia io me la ricordavo quando ci sono andata con i miei e una mia compagna di classe, boh, avrò fatto le medie.. il viaggio in treno, allora, mi era parso eterno, mentre ieri.. 2 ore da Bologna ed eccoci in stazione, che poi esci e ti ritrovi di fronte il mare. Venezia è stupenda e i sospiri non li fai solo quando vedi il ponte omonimo..i sospiri li fai ad ogni piccolo ponte, ad ogni caletta nascosta. Ma perchè diamine sto cardio-frequenzimetro deve bippare anche quando non sto sforzando il cuore..mi fa prendere dei colpi, accidenti, mi dice che c'ho la frequenza cardiaca a più di 200, eccccchecccavolo, neanche fossi in punto di morte..maledette interferenze di non so cosa. A volte le cose semplici hanno ancora il potere di stupirmi e allargarmi il cuore. Robe da non credere, visto e considerato con quanta insistenza il mondo remi in direzione opposta. Eppure non posso fare a meno di pensare all'altra sera, a quanto sia stato bello concludere la serata a casa di amici..fuori e dentro un caldo atroce, ma tante chiacchiere sincere e si fanno le 3 di notte come niente. Ma che palle sti camionisti che non possono fare a meno di pigiare il clacson ogni volta che vedono un essere femminile sgambettare con canotta e pantaloncini corti. Io a certi maschi li castrerei.. oppure farei provare loro l'ebrezza di essere inchiappettati senza il loro consenso, a vedere se la piantano di sbavare alla sola vista di un ombelico scoperto. Berlusconi è davvero la caricatura di se stesso..ha avuto la faccia tosta di chiedere chi lo ripagherà dei soldi spesi per far fronte a tutti i processi che gli sono stati intentati. Ma porca loca, ma perchè dall'altra parte non c'è mai nessuno capace di sputargli in un occhio e di dirgli che il poveraccio accusato ingiustamente ha mille e mille volte più di lui il diritto di essere risarcito! Due settimane e sarò tra le mie montagne. Tutto l'anno che aspetto questo momento e finalmente manca poco. Vorrei perdermi, io, tra le Dolomiti. E che nessuno, a parte forse qualcuno, mi trovasse più. Vorrei perdermi lassù e fare la spola ogni giorno da un rifugio ad un altro e poi ad una malga e poi vorrei bere latte appena munto tutte le mattine e poi ho voglia di sentire il sudore sulla pelle quando arrivo in cima e c'è una croce e sotto la croce c'è un taccuino vecchio vecchio e metterci la mia firma per dire "io sono stata quassù"..per dirlo a chi non lo so, forse a me stessa, forse al silenzio maestoso delle rocce. Non sono nata con un sogno nel cassetto e mi sono sempre sentita una pecora nera per questo.. il fatto è che di sogni io, nella mia vita, ne ho avuti a momenti troppi, troppo grandi e tutti insieme; in altri momenti nessuno, mi sono lasciata cullare e poi affondare da certe onde enormi.. Merda, quando corro divento melodrammatica all'ennesima potenza. Sti pensieri sarebbe bello catturarli e metterli nel blog..ma chi se ne ricorderà più una volta a casa?! Ecco, lo sapevo, mi sono scordata di rispondere al messaggio di M. Cos'è che stavo pensando prima? Ah sì, i sogni.. Oh no eccolo, il nonnetto malefico..adesso me lo dice, adesso me lo dice, 3-2-1 : "Ciao bella! Sei bellissssima!! Sei il mio tesoro!!" Eccccheppalle, l'ho capito..e poi togli quel "mio", che mi sa troppo da sudicio e mi vengono i brividi dallo schifo e non mi piace. Oh a me i vecchietti piacciono tanto eh.. fosse per me, li abbraccerei tutti.. quelli dell'altra sera poi, ai mercatini di Brisighella, quella coppia marito e moglie che vendeva ceste in vimini fatte a mano..quanto erano dolci! Se ne stavano al buio rispetto al resto delle bancarelle, le ceste attaccate alla bell'è meglio alla loro Cinquecento vecchissima e aspettavano, in silenzio. Quando ho chiesto: "Quanto viene questa?", il vecchietto si è alzato, mi ha sorriso e, quasi incredulo di fronte al mio interesse, ha risposto, candidamente: "Quanto viene? Ma sa che non ci ho nemmeno pensato?". Era contento, si vedeva. E mi ha chiesto solo 5 euro.. io, per simpatia e tenerezza, gliene avrei dati infinitamente di più.

venerdì 18 luglio 2008

La Locomotiva Umana.

Correva con la testa piegata all'indietro, i gomiti vicini al corpo, una smorfia di sofferenza stampata sul viso: il suo stile era quanto di più lontano dall'armonia di un bel gesto atletico (a chi glielo facesse notare era solito rispondere: "Non ho abbastanza talento per correre e sorridere allo stesso tempo"), ma la sua resistenza e la sua corsa erano quelle di un gigante. Emil Zatopek è stato l'uomo simbolo dei Giochi Olimpici di Helsinki 1952, dove in un grande spettacolo sportivo compì un'impresa leggendaria vincendo nell'arco di una settimana 3 medaglie d'oro: nei 5.000 metri, nei 10.000 metri e nella maratona. Era il 27 luglio quando lungo i viali alberati di Helsinki, nella patria di Paavo Nurmi, maratoneta nove volte campione olimpico finlandese, si correva la maratona che vedeva favorito l'inglese Jim Peters, detentore del record mondiale. Zatopek era al suo esordio assoluto sulla distanza dei 42 chilometri e la sua strategia di gara era semplice: seguire il più possibile la tattica di Peters, esperto in materia. Il britannico impose un ritmo altissimo alla corsa, Zatopek gli rimase ostinatamente incollato, parlottando ogni tanto con lui per chiedere se il ritmo fosse adeguato. Peters non terminò la corsa, forse stremato dal ritmo forsennato da lui stesso imposto. Zatopek concluse la gara con una delle sue straordinarie accelerazioni, entrando nello stadio olimpico in perfetta solitudine, accolto dall'ovazione della folla. L'impresa fece il giro del mondo e conferì a Emil Zatopek la popolarità universale che gli valse il soprannome di Locomotiva Umana. Nello stesso giorno in cui Emil vinse la maratona, sulla pedana del lancio del giavellotto la moglie Dana Ingrova si imponeva sulle avversarie.

Emil Zatopek nasce il 19 settembre 1922 a Koprivinice, Cecoslovacchia, nella regione della Moravia. Cresce in una famiglia numerosa e umile, sostenuta dal padre di mestiere calzolaio. Emil lavora come operaio in una fabbrica di scarpe quando in una gara sociale organizzata dal suo datore di lavoro, appassionato di sport, arriva secondo, senza alcuna esperienza nè allenamento. Capisce di avere una predisposizione e un talento particolare per la corsa e anche se può sembrare tardi, all'età di vent'anni, inizia a coltivarlo nei ritagli di tempo: corre di sera dopo il lavoro, oppure di mattina e anche di notte, come permettono i turni in fabbrica. Arruolato durante la seconda guerra mondiale, è in questa circostanza che Zatopek si dedica totalmente alla disciplina sportiva, mettendo a punto programmi di allenamento duri e intensi, correndo almeno quattro ore al giorno su qualsiasi tipo di terreno. Il suo segreto forse è stato proprio quello di unire alla sua straordinaria capacità fisica, e alla sua ferrea volontà, carichi di lavoro sovrumani e massacranti. Il suo motto era "la corsa come abitudine".


Zatopek fu anche precursore del cosiddetto interval-training che consiste nella ripetuta serie di 400 metri, interrotti da 200 metri di recupero. Talvolta in gara applicava la stessa tattica piazzando continui cambi di ritmo per stroncare gli avversari nel corso della prova. Ancora oggi questo metodo è alla base della preparazione atletica dei mezzofondisti.


Il nome di Emil Zatopek si segnala per la prima volta agli Europei di Oslo del 1946: ottiene il quinto posto nella finale dei 5000. Vince poi nello stesso anno la gara dei 10.000, ai giochi interalleati di Berlino. Due anni dopo, alle Olimpiadi di Londra del 1948, conquista l'oro nei 10.000 (staccando il secondo arrivato di quasi un minuto) e l'argento nei 5.000. Da qui in avanti Zatopek sarà sempre uno degli avversari più temuti, macinerà risultati su risultati fino al 1954, restando imbattuto per sette anni e 38 gare. E' proprio nel 1954 che Zatopek ottiene i suoi ultimi due primati del mondo, con un'impresa non meno leggendaria di quella confezionata ai Giochi di Helsinki: nel giro di 48 ore porta il limite dei 5.000 a 13'57"2 e quello dei 10.000 a 28'54"2 (primo corridore di sempre a vincere i 10.000 in meno di mezz'ora). Ai Giochi Olimpici di Melbourne 1956, ormai 34enne e provato da una carriera estenuante, concluderà la maratona solo al sesto posto.


Il suo carisma e la sua volontà sono stati forti quanto i suoi polmoni e le sue gambe: quando la squadra ceca atterrò a Helsinki nel 1952 lui non c'era. Zatopek aveva ingaggiato da tempo un duro braccio di ferro con la sua federazione. La spartizione del mondo in due grandi blocchi sancita da Roosevelt, Churchill e Stalin nei vertici di Teheran e Yalta, aveva portato la Cecoslovacchia entro l'orbita d'influenza dell'Unione Sovietica. Sebbene fosse iscritto al partito, Zatopek non approvava la politica di escludere dalle selezioni olimpiche gli atleti sospettati di simpatie anti-comuniste. Così quando seppe che il suo amico e compagno di squadra Sebastian Jungwirth non avrebbe potuto unirsi alla squadra e coronare il proprio sogno di sportivo, perché figlio di un dissidente, anche Emil, il miglior atleta ceco, rinunciò alla convocazione. I dirigenti federali fecero allora retromarcia e sia Zatopek che Jungwirth raggiunsero il ritiro ceco con tre giorni di ritardo. Dopo l'apice della sua carriera sportiva, sia Emil che la moglie divennero figure di spicco della dissidenza cecoslovacca e furono tra i firmatari del manifesto di Alexander Dubcek, eroe della Primavera di Praga (1968). Dopo l'intervento militare sovietico che pose fine al movimento, anche Zatopek pagò cara la propria indipendenza di pensiero: espulso dalle fila dell'esercito fu costretto a lasciare la capitale e venne confinato tra le montagne della sua terra d'origine. Sopravvisse lavorando come addetto ad una stazione di servizio e poi come minatore. Nella metà degli anni '70 Zatopek divenne consulente e traduttore del ministero dello sport, ma è solo dopo il 1989, con il crollo del regime comunista, che Zatopek riacquistò la grande dignità nazionale che meritava.


Personaggio nella vita allegro e gioviale, sempre disponibile, Emil Zatopek si è definitivamente ritirato dal mondo sportivo nel 1982, per vivere a Praga insieme alla moglie Dana, che l'ha assistito fino al giorno della sua morte avvenuta il 21 novembre 2000.